L’Istituto per la protezione sostenibile delle piante (Ipsp) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Grugliasco si occupa, tra le diverse attività di ricerca, anche della riscoperta degli antichi vitigni di cui si ha notizia solo nei testi storici. È il caso del Montanera, diffuso in passato nell’area prealpina piemontese e in Valtellina. Il vitigno è stato ritrovato dall’Ipsp-Cnr grazie ad alcuni sopralluoghi per poi essere studiato, collezionato, coltivato e quindi iscritto nel 2015 nel Registro nazionale delle varietà di vite (Rnvv), istituito negli anni ’70.
La Montanera, rarissima cultivar a bacca nera, è stata riproposta dal Cnr all’attenzione dei viticoltori piemontesi per la sua capacità di fornire vini dal colore carico e brillante, strutturati, dai tannini morbidi ma dotati di un’acidità piuttosto sostenuta.
L’attesa per una produzione commerciale dovrà essere di almeno tre anni
«Siamo – spiega Stefano Raimondi dell’Ipsp-Cnr – nella fase della propagazione della pianta. Il Cnr ha fornito le prime gemme ai vivaisti che, una volta preparate le barbatelle, le trasferiscono ai viticoltori per la messa in produzione». Di maturazione media o medio-precoce, il vitigno ha buone doti agronomiche.
«I vini di Montanera – spiega Raimondi – erano stati molto apprezzati nel corso degli assaggi pubblici che avevamo organizzato negli scorsi anni, grazie a una produzione sperimentale, per raccogliere le impressioni di tecnici e produttori. Il riscontro positivo ha spinto l’Ipsp-Cnr di Grugliasco e l’Università di Torino a procedere con la richiesta di iscrizione al registro nazionale. I viticoltori piemontesi iniziano a richiedere le barbatelle per partire con la produzione e regalarci un bel rosso, morbido e poco tannico. Ma per vedere i frutti dovremo aspettare circa tre anni».