Tempismo sospetto quello della svedese Cecilia Malmström, Commissaria europea responsabile per il Commercio, che ha appena pubblicato l’annuale relazione sugli ostacoli al commercio e agli investimenti nella quale denuncia che in tutto il mondo si registrano 372 ostacoli agli scambi, con un aumento del 10% nel 2016 e che auspica si lavori per l’abolizione dei dazi.
Una pubblicazione che arriva subito dopo il voto della Commissione del Parlamento europeo e a pochi giorni dalla seduta parlamentare Plenaria che voterà su di un testo che dice esattamente il contrario. Il problema è legato molto, anzi soprattutto, alla Cina. E vede l’Unione europea divisa sulla questione dei dazi doganali che sarebbero aboliti qualora si riconoscesse alla Cina lo status di Paese ad economia di mercato. Da un lato ci sono i Paesi importatori del Nord che sarebbero ben contenti di vedere calare i prezzi dei prodotti in arrivo da oriente; al contrario i Paesi manifatturieri del Sud temono l’apocalisse industriale.
Non sono ‘bruscolini’ per Germania, Francia e Italia: secondo una analisi dell’Economic Policy Institute, nell’arco di 3-5 anni l’Ue perderebbe fino a 3,5 milioni posti di lavoro e 228 miliardi di euro in termini di Pil, il 2% del totale continentale. Per l’Italia sarebbe un danno da 400mila posti di lavoro e 1,5 miliardi di euro l’anno.
Non ci piace il protezionismo, ma nemmeno il dumping cinese fondato sulla negazione dei diritti sindacali e civili ai lavoratori e sugli aiuti di Stato che permettono la vendita sotto il costo di produzione. E non per una difesa delle nostre aziende, come qualcuno malamente vuol fraintendere, ma perché i principi di tutela dei diritti del lavoro e quelli della salvaguardia dei consumatori devono andare di pari passo.