Fino a pochi giorni fa, una etichetta non corretta su di un capo di abbigliamento costava una salata sanzione amministrativa praticamente al solo commerciante, ma con il nuovo anno è entrato in vigore il decreto n. 296 del 20 dicembre 2017 che attua i decreti europei in materia di calzature e tessuti e che riconosce la reale responsabilità di chi effettivamente appone l’etichetta ai prodotti, produttori o importatori.
«Esprimiamo grande soddisfazione – commenta Renato Borghi, presidente della federazione e vicepresidente di Confcommercio – Questo decreto è una risposta al grande lavoro prodotto in questi anni sul territorio italiano da Federazione Moda Italia-Confcommercio. Era inammissibile, oltre che inaccettabile, che un operatore commerciale, in quanto obbligato principale, tra l’altro spesso vessato da clausole che gli negano ogni diritto di rivalsa nei confronti dei fornitori, dovesse ancora rispondere di omissioni o negligenze di operatori terzi, appunto i produttori o gli importatori. Un’anomalia che finalmente è stata oggi corretta».
Le nuove norme puniscono anche errate informazioni sui cataloghi e sul web
Con la sua entrata in vigore, come spiegano da Federazione Moda Italia, viene attribuita una responsabilità diretta, con conseguenti sanzioni (fino a 20mila euro) a chi effettivamente etichetta i prodotti (calzature e tessili) e cioè al fabbricante, importatore e distributore (secondo l’art. 15 Regolamento UE 1.007/2011, Paragrafo 2, è considerato fabbricante chi immette un prodotto sul mercato con il proprio nome o marchio di fabbrica, vi appone l’etichetta o ne modifica il contenuto).
L’Autorità di vigilanza (CCIAA, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) assegna un termine perentorio di 60 giorni al fabbricante o al suo rappresentante o al responsabile della prima immissione in commercio delle calzature o dei prodotti tessili sul mercato nazionale, per la regolarizzazione dell’etichettatura o il ritiro dei prodotti dal mercato. Chi non ottempera entro il termine assegnato è soggetto a una sanzione da 3mila a 20mila euro. Sanzione anche per chi non fornisca corrette informazioni nei cataloghi, sui prospetti o sui siti web, e per chi utilizza simboli non chiari in etichetta.