Ci mancherà Gualtiero Marchesi, scomparso lo scorso 26 dicembre. Perché è stato un cuoco, un grande cuoco. Ma perché è stato molto di più, tanto che sembra sminuirne l’importanza dire che unanimemente viene riconosciuto come il fondatore della “nuova cucina italiana”. Agli esordi, come accade a tutti i grandi uomini, non fu compreso e talvolta deriso per le sue creazioni così nitide, pure, che nulla concedevano all’oppulenza e tutto al gusto.
Ci mancherà ancora di più in questo 2018 decretato, dai Ministri Maurizio Martina alle politiche agricole e Dario Franceschini alla cultura, “Anno nazionale del cibo italiano”. Perché il “cuoco” Marchesi è stato il maestro che per decenni ha esaltato il legame tra cucina e cultura, tra cibo e territorio, tra la qualità dei prodotti tradizionali e la loro traduzione in modernità culinaria.
Se è stato creato un logo (di cui abbiamo già scritto in queste pagine web) e decine e decine di manifestazioni saranno organizzate nell’anno appena iniziato e se si procederà sulla strada del riconoscimento Unesco della dieta mediterranea, della vite ad alberello di Pantelleria, dei paesaggi della Langhe Roero e Monferrato, di Parma città creativa della gastronomia e si procederà a sostegno della candidatura Unesco per i territori del Prosecco e dell’Amatriciana, se tutto questo può accadere oggi è anche per la nuova cultura della cucina di cui Gualtiero Marchesi è stato padre.
Oggi il cibo italiano può vantare una fama internazionale che si traduce in un export che lo scorso anno ha superato i 40 miliardi e che è in crescita. Un grande business che non deve dimenticare la lezione di Gualtiero Marchesi: perché il cibo italiano è ai vertici in forza della sua qualità. Che il 2018 sia allora (per tutti e in tutto) l’anno della qualità.