A Mestre per un incontro confindustriale, abbiamo intervistato in esclusiva Paolo Bastianello, presidente del gruppo tecnico nazionale “Made in” di Confindustria.
La prima domanda non può che essere legata ai recenti casi di contraffazione che hanno visto coinvolti anche soggetti imprenditoriali italiani: è un fenomeno che preoccupa?
Qualsiasi attività imprenditoriale che comporti per il consumatore un qualche dubbio sulla legalità delle produzioni ha una conseguenza gravissima perché va a colpire il patrimonio di credibilità che il nostro sistema ha costruito nel tempo con grande fatica. Ci consola che comunque questi casi vengano sempre intercettati dalla Guardi di Finanza: non perdiamo mai l’occasione per ricordare l’enorme laro fatto dalle forze dell’ordine. Se non è sufficiente non lo è, non tanto per carenza nel numero degli addetti ai lavori, ma perché dobbiamo stimolare la collaborazione del cittadino, dell’imprenditore, del sistema affinché il malaffare venga segnalato e colpito.
Dal punto di vista della lotta alla contraffazione, però, l’Italia ha un primato che ci viene riconosciuto da tutta Europa…
Assolutamente sì! Io ricordo con piacere che siasmo il Paese con il più alto numero di controlli nei nostri porti grazie alla Guardia di Finanza e dell’Ufficio delle Dogane, per non parlare dell’azione dei Carabinieri per quanto riguarda l’agroalimentare. Il sistema quindi funziona e dà risultati maggiori di quanto le buone notizie facciano apparire.
Mi viene in mente quello che stanno facendo a Napoli: l’Unione Italiana della Concia ha fornito i propri collaboratori in veste di formatori per i funzionari della Guardia di Finanza e dell’Ufficio delle Dogane per una individuazione di tutti quei prodotti che possono essere contraffatti, taroccati oppure che possano avere quelle vernici che non vanno bene per il nostro mercato.
“Italian sounding”: un problema enorme che è in via difussione?
Sono rimasto impressionato da una cifra: 90 miliardi di prodotti dell’agroalimentare solo sul mercato statunitense non sono in Italia. Io, viaggiando per lavoro, ho visto i quartieri commerciali di Istanbul e di Shanghai dove non c’era negozio di abbigliamento turco o cinese il cui nome non fosse italiano. Perché tutto quello che ha un ricordo del nostro Paese, del nostro Made in Italy, della nostra qualità ha una attrattiva notevole. Anche qui, la collaborazione dei consumatori e le loro segnalazioni sono indispensabili.