Di etica nella moda si parla sempre più di frequente: l’ultimo caso esploso con fragore internazionale riguarda 12 allevamenti sudafricani di capre d’Angora. Una indagine condotta dalla filiale asiatica di PETA (People for the Ethical Treatment of Animals) ha dimostrato che gli allevatori, che tosano le capre d’Angora due volte all’anno, a partire dai sei mesi di vita, lo fanno con metodi di una crudeltà inaccettabile.
Proprio a seguito di questa indiscutibile denuncia, circa 70 brand di abbigliamento, tra cui Zara, H&M, Gap, Topshop, smetteranno di acquistare e usare mohair per le loro collezioni. L’indagine è stata condotta solo su 12 dei mille allevamenti presenti in Sudafrica, il più grande produttore ed esportatore mondiale di mohair, che complessivamente danno lavoro a circa 30mila persone. Mentre i grandi marchi di abbigliamento dichiarano la disponibilità a eliminare il mohair dalle collezioni entro il 2020, PETA invita i consumatori a essere più consapevoli di ciò che acquistano, leggendo le etichette e controllando sempre la composizione e la provenienza dei capi.
Sempre più la moda etica chiede prodotti sintetici, che non siano di derivazione animale
Ancora più oltre si spinge ASOS, il sito Web particolarmente conosciuto e utilizzato per l’acquisto di capi d’abbigliamento e accessori per uomo-donna di oltre 850 brand. Ha annunciato infatti che non venderà più mohair, ma anche seta, cashmere e piume a partire da gennaio 2019, per venire incontro alle necessità di tutela del benessere animale.
«In risposta alle campagne PETA – ha commentato dal direttore dei progetti aziendali, Yvonne Taylor – i consumatori stanno cambiando il volto del settore chiedendo ai designer e ai rivenditori di abbandonare i materiali di derivazione animale a favore di alternative senza crudeltà che sembrano perfettamente adatte e non causano sofferenza».