Chi dice che i trattati commerciali internazionali non servono dovrebbe spiegarlo ai 3,2 milioni di lavoratori italiani il cui posto dipende dall’export in Paesi al di fuori dell’Unione europea. Ma anche ai 462mila occupati di altri Stati Ue che lavorano “grazie” ai beni e ai servizi esportati dal Belpaese nel mondo. Sono i dati che emergono da uno studio della Commissione Europea, che ha analizzato il legame tra commercio internazionale e occupazione nell’Unione tra il 2000 e il 2017.
In questo lasso di tempo, secondo lo studio, gli occupati europei legati all’export Ue sono cresciuti del 66%, raggiungendo i 36 milioni, di cui 13,7 sono donne. Si tratta di posti di lavoro solitamente pagati meglio: un 12% in più rispetto ai salari medi nazionali.
L’export italiano genera 400 mila posti di lavoro negli altri Paesi europei destinatari del Made in Italy
Leader dell’export è la Germania, che è riuscita a creare 8,4 milioni di occupati legati direttamente e indirettamente al commercio con Paesi extra-Ue. A seguire il Regno Unito con 4,2 milioni di posti di lavoro e la Francia con 3,4. L’Italia si piazza al quarto posto, con 3,2 milioni di lavoratori: in sostanza, 1 occupato su 8 “dipende” dal commercio internazionale.
Nello specifico, 2,7 milioni di posti di lavoro sono riconducibili all’export di beni e servizi italiani. Mentre il restante mezzo milione è legato alle attività di export degli altri Paesi membri, in particolare della Germania (circa 160mila occupati). Già, perché uno degli aspetti più significativi dello studio riguarda i benefici “europei” che il commercio internazionale dei singoli Stati Ue genera. Compreso quello italiano: grazie alle nostre attività di export, oggi hanno trovato lavoro 462mila cittadini di altri Paesi europei.