L’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico che conta 34 Paesi europei e ha sede a Parigi, stima nel suo più recente rapporto che siano 149 i paesi origine di prodotti contraffatti; 27 dei quali sono paesi OCSE; cinque paesi sono indicati come fonte principale da cui deriva l’80% delle merci contraffatte; al primo posto figurano Cina, Hong Kong e la Tailandia. Per i pezzi di autoveicoli, il Medio Oriente è il principale mercato di sbocco, seguito dall’Europa e dal Nordamerica; per i prodotti farmaceutici è l’Africa. E poi c’è Internet che sta diventando uno dei canali principali sia per acquirenti inconsapevoli di prodotti contraffatti sia per coloro che li acquistano consapevolmente
L’impatto della contraffazione sul Made in Italy, secondo gli ultimi dati diffusi nel 2009, stimano che la contraffazione in Italia alimenti un giro d’affari di 7,8 miliardi di euro l’anno. L’Italia è stata a lungo indicata come il paese leader nel campo della contraffazione anche se, con l’avanzare delle merci contraffatte provenienti dalla Cina, questa situazione è in parte cambiata. La Regione Campania, con quasi la metà dei prodotti sequestrati su tutto il territorio nazionale, guida con largo margine la classifica delle Regioni in termini di contraffazione.
Uno dei maggiori problemi che l’Italia è chiamata ad affrontare in tema di contraffazione è rappresentato dal cosidetto “Italian Sounding”, ossia la diffusione all’estero di prodotti che presentano nomi, loghi, colori o slogan riconducibili all’Italia ma che di fatto non hanno nulla a che vedere con l’autenticità dei prodotti “made in Italy”: per i prodotti alimentari gli ultimi dati, aggiornati al marzo 2010 (Federalimentare) descrivono un fenomeno che vale circa 60 miliardi di euro in termini di export, di cui 24 miliardi diretti al solo mercato nordamericano, 26 a quello europeo e oltre 10 agli altri mercati. Un recente studio realizzato dal Management Resources of America per l’ICE presso le principali catene di supermercati di 11 città negli Stati Uniti, in Canada e in Messico fornisce dati preoccupanti sul fenomeno dell’imitazione dei prodotti italiani: si va dai biscotti, per i quali il processo di imitazione riguarda il 50% dei prodotti venduti, alle paste fresche per le quali si arriva al 100%. L’ICE stima che se l’Italia riuscisse a recuperare una quota del 25% sul mercato nordamericano degli Italian sounding il fatturato delle nostre imprese potrebbe aumentare di oltre 4 miliardi di dollari.