Il capoluogo piemontese può essere assunto a paradigma dell’ospitalità di qualità, tanto predicata ma poco frequentata nel nostro Paese. A “cambiare l’umore” della città furono le Olimpiadi 2006, ma ancora oggi non se ne è perso lo slancio; l’austerità sabauda si è ringiovanita, senza perdere una caratteristica fondamentale: il rigore che permette, ad esempio, l’esistenza di una realtà di integrazione multirazziale come San Salvario, considerata tra le migliori d’Italia. Alla base c’è un principio di fondo: il rispetto dell’altro, sia esso un immigrato o un turista; l’importante è osservare le regole, uguali per tutti, ad iniziare dai residenti. Deve essere questa la chiave, che permette di avere una città pulita, conservatrice nell’innovazione. La prima cosa, che colpisce è l’omogeneità urbanistica, pur in una realtà cittadina, ricca di trasformazioni. Il segreto è la qualità degli interventi, innovativi ma non azzardati, rigorosi nella ricerca stilistica, complementare al contesto moderno o datato che sia. C’è un gusto sobrio a Torino, dove c’è sempre un ponte, che congiunge il passato al futuro: si chiama storia (dai Savoia agli Agnelli) e ne vanno fieri, come testimoniano le tante bandiere tricolori, orgogliosamente appese alla finestre. L’Italia dei 150 anni è lì.
Il direttore
Fabrizio Stelluto