Hanno svoltato verso il segno positivo le stime dell’export tra gennaio e settembre del fashion .

Il tessile-moda sarà uno dei pochi settori italiani a chiudere il 2019 con un segno positivo e un cauto ottimismo per il 2020 e lo farà migliorando le previsioni fatte appena tre mesi fa, in occasione della fashion week donna di Milano, malgrado lo scenario economico e geopolitico globale si sia ulteriormente complicato. È Carlo Capasa, presidente della Camera della Moda, a presentare i dati che fanno riferimento ai principali mercati di sbocco della moda italiana e sono tutti positivi nei primi tre trimestri: +10,8% il Giappone, +15,7% la Corea, +7,8% gli Stati Uniti,+ 5,5% la Francia e +5,2% la Cina.
Tutto questo accade quasi sfidando la situazione di contrasti sempre più forti e diffusi: gli Stati Uniti non sono mai stati così divisi quanto oggi con la messa sotto accusa del Presidente Trump; Sud America, Medio Oriente e ricche aree dell’Asia sono attraversate da forti movimenti di piazza; nella stessa Europa, la Francia è paralizzata dalle proteste popolari.
A salvare la moda potrebbe essere la sua capacità di essere oggi interprete d’avanguardia di quella tendenza culturale che si va diffondendo tra i giovani legata alla sostenibilità ambientale, al valore etico delle cose, all’inclusione e al meticciamento delle culture.

Carlo Capasa
presidente
Camera della moda

Possiamo oggi rivedere verso l’alto le previsioni per la chiusura del 2019: passiamo da un leggero segno negativo a un segno positivo: +0,1% per il tessile-moda, +0,3% se si comprendono gioielli, bigiotteria, cosmesi e occhiali. In valore, arriveremo rispettivamente a oltre 67 miliardi per il tessile-moda e a quasi 90 con il perimetro allargato.
Sulla sostenibilità ambientale, anche rispetto ai nostri tradizionali competitori francesi, siamo i più attenti e puntiamo a garantirla per l’intera filiera. Il prossimo traguardo, altrettanto ambizioso, è dimostrare che la moda può interpretare la ‘cultura dominante’ non solo nella tutela del pianeta, ma anche per l’inclusione sociale e la difesa delle minoranze. Non dobbiamo avere paura di considerarci rivoluzionari dal punto di vista culturale e sociale: in fondo lo siamo sempre stati.