Per l’indagine di Mediobanca i dati sono contrastanti e c’è il rischio che sia tutto pubblicità .
Una recentissima analisi di Mediobanca Ricerca e Studi (Mbres) ha analizzato l’andamento delle maggiori imprese della moda in Italia, mettendole a confronto con 46 aziende europee del settore (che nel 2018 hanno fatturato più di 900 milioni di euro).
Lo studio era incentrato attorno a quella che è la parola protagonista di questi ultimi anni, “sostenibilità”: l’83% dei gruppi del fashion analizzati ha deciso di stilare per i propri clienti un report sulla sostenibilità aziendale, a prova del fatto che si tratta di un tema caldo, a cui sono sensibili soprattutto i giovani. Ma se la sostenibilità come obiettivo è fuor di dubbio, come raggiungerla in pratica è meno chiaro.
I dati mostrano trend discordanti: cresce in media del +2,8% l’uso di energie rinnovabili in un anno a livello europeo, con la metà delle case produttrici italiane che hanno dichiarato di fare affidamento al 100% su fonti green nel 2019. Ma aumenta anche la quantità di anidride carbonica emessa nel complesso, +5,5%, e quella di rifiuti generati, +5%: se è vero che molte aziende, grazie al successo nelle vendite, hanno intensificato la produzione, l’incremento dei volumi per alcuni marchi non basta a giustificare l’impennata di CO2 presente nell’aria e di scarti di filiera a carico dell’ambiente.
Il quadro ambientale che emerge dallo studio Mbres è frutto di comportamenti contradditori: per quanto riguarda le emissioni, ci sono imprese che le hanno ridotte del -22% e altre che le hanno incrementate di oltre il +60%. Quanto a rifiuti, la situazione è analoga: ci sono compagnie che li hanno limitati fino al 37% del totale e altre dove sono aumentati del +31% circa.
Per ridurre il proprio impatto ambientale l’industria della moda deve fare di più che diffondere messaggi ecologici, dicono al Centro di ricerca di Mediobanca, altrimenti tutto ciò che è green diventa solo una mera operazione di facciata.