Il crollo dei consumi, a causa della pandemia, spinge i grandi brand verso una nuova ‘filosofia’
Zalando dal 2023 venderà solo marchi di moda sostenibile; il big brand sportswear Adidas passa dalla collaborazione con la eco-designer Stella McCartney alle sneakers vegane; Zara e H&M hanno deciso che riconvertiranno entro il 2030 la loro produzione usando esclusivamente tessuti riciclati o ecologici.
Annunci molto significativi che cadono in un momento molto particolare e a ridosso di una data importante. Il settimo anniversario della tragedia del Rana Plaza in Bangladesh, quel 24 aprile del 2013 quando un fatiscente palazzo nella periferia di Dacca crollò uccidendo oltre 1200 lavoratori dell’industria tessile che producevano anche per brand famosi, non è stato celebrato da iniziative e manifestazioni a causa del lockdown per la pandemia di Covid-19.
Ma proprio questi annunci, condizionati dall’intreccio del ricordo di quella tragedia, dalle preoccupazioni per il cambiamento climatico e dalla crisi innescata dalla pandemia, valgono molto più di ogni celebrazione. Una inversione di rotta del ‘sistema moda globalizzato’ che sembra davvero voler cambiare la strada intrapresa con il cosiddetto fast-fashion.
Sorpassando le stesse avanguardie della moda sostenibile e dell’eticità, tutti i più diffusi brand della moda globale stanno riconvertendo la propria produzione cercando di coniugare appeal estetico con quelle istanze di tutela dell’ambiente che sembra poter essere la chiave per raggiungere una vastissima platea di clienti giovani e giovanissimi.
L’ecologia applicata alla moda con tessuti naturali, cruelty-free, senza inutili sprechi di acqua e materie prime può essere la leva sulla quale puntare per un rilancio del comparto moda dopo la crisi innescata dal Covid-19, periodo che per altro ha fortemente decurtato le possibilità economiche dei consumatori e la loro disponibilità all’acquisto.