Aumentano i brand che adottano design per compensare il cambiamento di taglia di chi lo indossa .
Nell’arco della propria vita, mediamente, una donna cambia la taglia dei propri abiti per 31 volte, per un uomo il cambio avviene solo 24 volte. Il dato, riportato da Vogue Business, prende in considerazione la naturale crescita dovuta all’età, per le donne anche la gravidanza, in generale il naturale ciclo di aumento o diminuzione del peso, eventuali malattie. Quel che è certo è che ad ogni cambiamento segue un rinnovo più o meno radicale del guardaroba. Almeno fino a ieri.
Perché oggi si sta allargando il numero dei brand che si muovo nel quasi inesplorato mondo del cosidetto ‘adaptable design’, formulazione inglese per indicare gli abiti in grado di seguire i costanti mutamenti del corpo.
Una caratteristica chiave di questi progetti risiede proprio nell’idea sostenibile perché allungare il tempo di usabilità di un abito, a prescindere dai mutamenti del proprio corpo, ne ritarderà il ricambio riducendo l’enorme massa di abiti usati che oggi finiscono in discarica.
«Potrebbero essere definiti abiti ingegneristici – spiega Alexandra Waldman, co-fondatrice del marchio americano Universal Standard – Curviamo i nostri bordi e usiamo tessuti più spessi così gli abiti non sembrano troppo aderenti. Inseriamo materiali elasticizzati che non appaiono come tali».
La stilista Mara Hoffman propone abiti al cui interno le spalle contendono degli anelli nascosti ideati per le bretelle dei reggiseni, cinture staccabili per adattarsi alla vita e chiusure elastiche per le maniche: “Più a lungo le consumatrici possiedono un capo, più a lungo verrà rimandata la pattumiera”, spiega la stilista.
Aja Barber ha realizzato una “adaptable capsule collection” con la designer indipendente Lora Gene: «Non abbiamo inserito alcuna chiusura definitiva, niente bottoni né cerniere, dando così alle persone la possibilità di cambiare una o due taglie».