Un organismo parlamentare accusa l’industria moda per carenze su ambiente e condizioni di lavoro
L’industria della moda in Gran Bretagna è sotto accusa. Ed è una accusa assai pesante perché portata da un organismo del Parlamento inglese: l’Environmental Audit Committee. L’Eac, e non è la prima volta, mette sul banco degli imputati il sistema britannico del fashion per le ‘practices’ in vigore nelle aziende di moda e di abbigliamento.
Sarebbe stato il diffondersi della pandemia da Covid-19, così preoccupante nell’isola d’oltremanica, ad aver riportato alla luce il perdurare delle cattive condizioni di lavoro. Secondo quanto riferito dalla stampa inglese, il Governo ha respinto la maggior parte delle raccomandazioni dell’Eac nel 2019, raccomandazioni che erano state formulate nel report “Fixing fashion: clothing consumption and sustainability”.
In particolare si addebitavano alla responsabilità dei produttori politiche ambientali che non contemplano il riciclo di scarti, controlli incrociati sulla supply chain, operati da società indipendenti (il sistema italiano dei subappalti), la mancata eliminazione del lavoro minorile.
“I rapporti sulle cattive condizioni di lavoro – ha dichiarato l’Eac – suggeriscono che ci siano stati pochi miglioramenti rispetto alla relazione 2019 della commissione, che raccomandava controlli regolari e chiedeva alle aziende di impegnarsi con i sindacati per i loro lavoratori”.
Ed è proprio sulle condizioni di lavoro che ora si concentrerà l’inchiesta dell’Environmental Audit Committee, pronto a raccogliere prove scritte e dichiarazioni con focus su rapporti tra rivenditori e fornitori, soluzioni per la gestione degli sprechi, rapporti di licenza, applicazione del diritto del lavoro e pagamento del salario minimo. «Scopriremo se ci sono stati dei miglioramenti – ha spiegato Philip Dunne, al vertice dell’Environmental Audit Committee – e cos’altro deve essere fatto, in primis per garantire il nostro obiettivo di un settore a zero emissioni di carbonio entro il 2050».