Nel periodo della pandemia sempre più imprese si sono impegnate (e con successo) nell’e-commerce

La ricerca dell’Osservatorio Export digitale della School of management del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno online “Export digitale, Covid ed emergenza: strategie per la ripartenza” ha mostrato come, nel 2020, l’export digitale italiano di beni di consumo abbia raggiunto un valore di 13,5 miliardi di euro, con una crescita pari al +14% svolgendo un ruolo fondamentale nel contenere il crollo degli scambi commerciali tradizionali, calati in Italia di circa -10%.
Malgrado una pesante flessione, il fashion è ancora il settore più importante per l’export, con un valore di 7,1 miliardi di euro. Invece favorito dalla pandemia, segue il food cresciuto del +46% fino a 1,9 miliardi di euro. Sopra il miliardo anche l’arredamento e poi, via via, elettronica, cosmetica, cartoleria, giochi, articoli sportivi, eccetera.
Ci sono ancora ampi margini di crescita in ambito e-commerce per le imprese italiane: il 56% delle imprese usa i canali digitali per vendere prodotti all’estero, ma quasi il 75% esporta online prodotti per meno del 20% del proprio fatturato. Nel corso del 2020 sempre più imprese hanno scelto di aprire un canale e-commerce per vendere all’estero, con un impatto positivo sulle performance finanziarie, come rivela un sondaggio condotto dall’Osservatorio su 162 aziende italiane di piccole, medie e grandi dimensioni attive in diversi settori.

Riccardo Mangiaracina
Direttore
Osservatorio Export digitale

Nonostante il peso dell’e-commerce italiano nel panorama globale sia ancora contenuto, il digitale ha rappresentato un traino per il nostro export nell’ultimo anno, compensando il calo degli scambi attraverso i canali tradizionali.
Per sfruttare l’accelerazione impressa dalla pandemia e migliorare le performance di internazionalizzazione delle nostre imprese occorre però una sapiente integrazione del digitale nelle modalità di export tradizionali, anche quando l’emergenza sarà superata. Il digitale sta diventando sempre di più un’opportunità abbordabile anche per aziende meno strutturate e con meno risorse.
Non è un’opportunità a costo zero, perché servono investimenti e competenze, ma il costo di non coglierla è rischiare di essere tagliati fuori dal mercato.