Avrebbe meritato maggiore rilievo sugli organi di informazione nazionale la notizia della multa data dal Governo cinese ad Alibaba, il colosso dell’e-commerce: una maxi-multa da 18,2 miliardi di yuan, pari a 2,78 miliardi di dollari, per abuso di posizione dominante. L’indagine delle autorità di Pechino, durata quattro mesi, ha appurato “sospette pratiche di monopolio” e Alibaba è stata ritenuta colpevole di forzare i venditori a firmare contratti esclusivi per prevenire che i beni venduti sulla piattaforma della società fossero venduti anche su piattaforme concorrenti.
Magari la vicenda potrebbe avere qualche riflesso anche in quei Paesi che quotidianamente sono alle prese con sistema di vendite online che ‘galleggia’ ai confini della contraffazione e dell’illegalità. Un fenomeno quello dei ‘falsi’ che sempre più si allarga e che colpisce la creatività del Made in Italy e la stessa immagine delle produzioni tricolori. Non è più una questione di false borsette ‘Gucci’ ed in generale di prodotti industriali: l’agroalimentare viene quotidianamente contraffatto e falsicato attraverso l’italian sounding.
Non solo salumi, formaggi, vino e olio del Made in Italy sono da tempo vittime di contraffazione, anche se soprattutto di queste si parla e si scrive (giustamente per la loro importanza commerciale e per le conseguenze sull’economia e l’occupazione). Il report 2020 dell’Ispettorato centrale repressione frodi (Icqrf) del Ministero dell’agricoltura rivela che l’ortofrutta è tra i primi cinque comparti agroalimentari con più tentativi di contraffazione. Sono 3.191 i controlli registrati nell’indagine portata avanti dall’organo del Mipaaf, su un totale di poco meno di 71mila: oltre 26.300 riguardano il settore vitivinicolo, seguono l’oleario (10.600), il lattiero-caseario (6.800), i cereali e derivati (3.400) e l’ortofrutta. Quest’ultima conta 1.875 operatori sottoposti a verifica, di cui il 18,2% risultato irregolare. E ancora: 3.490 prodotti controllati (il 14,6% irregolare), 35 notizie di reato, 254 contestazioni amministrative, 11 sequestri e 155 diffide in un anno. Oltre 70mila controlli, 1.142 interventi fuori dei confini nazionali, riguardanti in particolare le attività di controllo per l’e-commerce sul web a tutela delle Indicazioni Geografiche, 22 milioni di kg di merce sequestrata, per un valore di oltre 21 milioni di euro.
Si potrebbe pensare che il peperone Igp di Senise ha poco a che spartire con Jack Ma e che la Melanzana Rossa di Rotonda o il pecorino di Moliterno difficilmente siano commerciabili su Alibaba. Ma la notizia cinese può essere accolta come un segnale positivo anche da noi: perché dimostra che anche i ‘colossi’ possono essere posti sotto un equo controllo. Alibaba nel mesi scorsi ha ripetutamente estromesso dai propri cataloghi produttori che non davano garanzie di legalità: può essere ‘aiutata’ a fare di più e meglio per la tutela dei consumatori. Ad essere ‘aiutate’ possono esserlo anche le piattaforme di casa nostra!