Negli Usa l’accusa è quella di produrre e vendere sottocosto grazie al lavoro forzato e minorile
La lista di controllo annuale del governo degli Stati Uniti per contrastare le merci contraffatte e la pirateria dei prodotti ha incluso tra gli osservati speciali anche le due più famose piattaforme cinesi di shopping online: AliExpress e WeChat. L’accusa è che facilitino “una sostanziale contraffazione dei marchi“.
Che la Cina sia il primo Paese di origine per le merci contraffatte che vengono quotidianamente sequestrate in Europa è ormai noto a tutti: negli Stati Uniti ora si aggiunge anche l’aggravante di vendere merci realizzate attraverso il lavoro forzato e minorile. Nel rapporto annuale della USTR, “Review of Notorious Markets for Counterfeiting and Piracy”, si legge anche che: “i dati esistenti mostrano una correlazione tra l’uso del lavoro forzato e del lavoro minorile nella produzione globale di determinati prodotti e i tipi di prodotti che sono più comunemente contraffatti”.
La stessa USTR ha affermato che Alibaba, colui che sta dietro a queste app di contraffazione, ha alcune tra le migliore procedure di controllo sui prodotti contraffatti rispetto ai suoi colleghi di bassa lega e che agiscono indisturbati, ma ha affermato anche che c’è stato un grande aumento degli articoli contraffatti venduti su AliExpress e spacciati per originali, quindi a costi davvero eccessivi.
WeChat, invece, ha una piattaforma di e-commerce integrata al suo servizio di messaggistica, dove i controlli sui venditori sono davvero scarsi, quasi nulli. Questo facilita la circolazione di merce contraffatta. Un portavoce di Tencent – per intenderci, la società madre di WeChat – ha dichiarato di essere “fortemente in disaccordo” con la decisione dell’USTR. E ha aggiunto che la compagnia è “impegnata a lavorare in modo collaborativo per risolvere la questione“.