L’università di Oxford crea un algoritmo e conferma tutte le attese sull’inquinamento alimentare
Uno studio condotto dai ricercatori di Oxford ha analizzato l’impronta ambientale non tanto dei prodotti semplici, delle materie prime non trasformate, quanto piuttosto dei prodotti processati e ultraprocessati che troviamo ogni giorno sugli scaffali dei supermercati.
L’obiettivo è quello di fornire informazioni chiare e trasparenti ai consumatori che, se da un lato si mostrano sempre più interessati alla questione ambientale e alle strategie da mettere in atto per inquinare meno, dall’altra sono disorientati e confusi da informazioni contraddittorie, etichette poco trasparenti e pratiche di greenwashing messe in atto dalle aziende.
Per la loro indagine, i ricercatori inglesi hanno messo a punto un algoritmo che, per la prima volta riesce a stimare l’impatto complessivo di cibi e bevande quantificando non solo l’impronta idrica o le emissioni inquinanti, ma anche altri criteri come ad esempio il consumo di suolo. I risultati sono esattamente corrispondenti a quanto era comunemente prevedibile: prodotti come insaccati, prosciutti e carne secca hanno ottenuto il punteggio più alto come prodotti a elevato impatto ambientale. In generale i prodotti a base di carne, pesce, uova e formaggi tendono a posizionarsi nella fascia alta della classifica. Al contrario, prodotti da forno e dolci si collocano tendenzialmente nella fascia mediana della graduatoria.
Scontata quindi la promozione dei prodotti di origine vegetale, quelli cioè prodotti partendo da frutta, verdura, legumi e cereali (ad esempio pane, zuppe, insalate, succhi di frutta e così via) che sono alla fine della classifica con i punteggi più bassi.
Lo studio ha contemplato anche i cosiddetti “sostituti della carne”, ovvero burger, salsicce, polpette e spiedini di origine vegetale, preparati con soia o altri legumi. Ebbene, la maggior parte delle alternative alla carne ha da un quinto a un decimo dell’impatto ambientale dei prodotti equivalenti a base di carne.