Dopo le colline del Prosecco, in Valpolicella si vuole valorizzare la tecnica dell’appassimento .
Completato il dossier per la presentazione della candidatura della tecnica della messa a riposo delle uve della Valpolicella a patrimonio immateriale dell’Unesco: dieci le pagine redatte dal Comitato scientifico, che sintetizzano il lavoro di studio e raccolta di documenti per l’iscrizione della pratica di vinificazione negli elenchi tutelati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura.
Il documento verrà ora trasmesso al Ministero della cultura, a quello dell’agricoltura e alla Commissione nazionale per l’Unesco, l’organismo interministeriale coordinato dal ministero degli Esteri cui spetta il compito di scegliere, entro il 30 marzo, l’unica candidatura italiana da inviare a Parigi per la valutazione.
«Ho voluto con forza – ha dichiarato il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia – che il metodo dell’appassimento dell’Amarone diventi patrimonio dell’Umanità. E per questo stiamo lavorando e stiamo sostenendo il Consorzio certi di arrivare all’obiettivo. Ora si sta dialogando, ma i presupposti ci sono tutti: la tipicità, la storicità, la tradizione e anche per questo ruolo iconico dell’Amarone».
«Il dossier evidenzia che si tratta di una tecnica che rispecchia la storia sociale, politica, economica di questo territorio e ne manifesta la sua evoluzione – spiega Pier Luigi Petrillo, coordinatore del Comitato Scientifico, professore e direttore della Cattedra Unesco sui Patrimoni Culturali Immateriali dell’Università Unitelma Sapienza di Roma – Il profondo radicamento culturale e identitario definisce la stessa architettura rurale della Valpolicella: un saper fare che da oltre 1500 anni identifica questa comunità. All’Amarone, di per sé, non è necessario il riconoscimento, ma alle persone, ai viticoltori che sono custodi del territorio sì. Serve che questa tradizione venga tramandata alle prossime generazioni».
Elisabetta Moro, ordinario di Antropologia Culturale all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e presidente del Comitato della Cattedra Unesco in Comparative Law & Intangible Cultural Heritage dell’Università di Roma Unitelma Sapienza sottolinea che: «con l’estensione nel 2003 del riconoscimento Unesco anche ai beni immateriali, l’Organizzazione delle Nazioni Unite innesca delle fermentazioni culturali perché sollecita riflessioni e dà stimoli per guardare in modo nuovo alle pratiche. La candidatura è prima di tutto una sfida culturale per preservare la storia passata, ma anche il futuro. Per mettere in movimento la comunità e renderla protagonista della propria storia coinvolgendo i giovani».