Per lunghissimi anni, la canapa ha rappresentato per l’Italia una fonte di ricchezza: resistente e facile da coltivare senza pesticidi e diserbanti, in grado di ridurre l’erosione del terreno e contribuire a risanare terreni inquinati. Ma oggi in Italia non esiste più la capacità di trasformare la fibra in filo.
«Il nostro Paese – spiega Mauro Vismara, imprenditore che produce tessuti e filati naturali – è stato negli anni ’40, il secondo produttore al mondo di canapa subito dopo la Russia. E con il primato della migliore qualità al mondo, la fibra di Carmagnola». Complice l’avvento delle fibre sintetiche e la “Convenzione Unica sulle Sostanze Stupefacenti” sottoscritta dal governo italiano nel 1961 secondo la quale la canapa sarebbe dovuta sparire dal mondo entro 25 anni, questa produzione e tutto il tessuto industriale che la riguardava è andato perduto. «Il nostro progetto è di riportare in Italia una filiera scomparsa, anche grazie al sostegno tecnico del Politecnico di Milano, per realizzare tessuti 100% Made in Italy e prodotti finiti che siano sicuri e ‘trasparenti’, dal campo al negozio. In più, la stessa filiera che serve per la canapa sarebbe in grado di lavorare anche altre fibre come bambù e ortica».