Problemi di crescita per il prosecco. Non si voleva che il bambino d’oro crescesse troppo e così ora rischia di non essere abbastanza grande. La notizia la trovate qui accanto: si voleva limitare a non più di 16.000 ettari l’impianto di glera, ed invece nel triennio sono rimasti inutilizzati tra i 2 ed i 3 mila ettari, con viticoltori che hanno preferito mettere a dimora il pinot grigio. Con il rischio che ora non ci sia abbastanza prosecco per rispondere alla crescente domanda mondiale delle bollicine che stanno soppiantando lo champagne nei gusti dei consumatori d’ogni continente.
Non si poteva prevedere, questo è certo, l’andamento climatico della scorsa stagione, fino a giugno ottimale, poi così piovosa da compromettere l’annata. Non si è voluto allargare i confini di un prodotto che si pensava restasse remunerativo solo se di nicchia, e che invece è diventato di moda in tutti i locali più prestigiosi del mondo. La difesa delle posizioni acquisite oggi potrebbe ritorcesi contro chi la praticata.
Perché il rischio concreto è stato paventato dallo stesso Assessore Manzato: se domani sul mercato i grandi buyers che hanno alimentato le esportazioni del prezioso prosecco, facendone lievitare il prezzo ed insieme senza curarsi del costo pur di offrire ai propri clienti l’oggetto di culto, non trovassero più sufficienti approvvigionamenti? Potrebbero far di necessità virtù e puntare su altri prodotti, magari spagnoli o cileni, per sostituire nel gusto degli enoappassionati il troppo raro prosecco.
Uscendo da questo caso specifico per una più generale riflessione, perché sono molti i prodotti d’eccellenza dell’enologia e dell’agroalimentare italiani, è evidente la necessità di progettare un equilibrio nuovo tra produzione e commercializzazione, tra remuneratività per i produttori (sempre più di frequente investitori che il lavoro agricolo non lo praticano) e accessibilità globale alla qualità che sempre più è una richiesta di un numero sempre più ampio (fortunatamente) di persone ad ogni latitudine.