A qualcuno farà certamente tornare alla mente il film Jurassic Park. Ma qui stiamo parlando della realtà: grazie al lavoro degli archeologi israeliani dell’Università di Haifa e alle loro campagne di scavo condotte nel sito di Halutza, il professor Guy Bar-Oz punta a ricreare il mitico vino di Negev. Nel corso degli scavi infatti sono stati rinvenuti alcuni semi carbonizzati di epoca bizantina che potrebbero essere la base per ricostruire il sapore e il profumo di uno dei vini più pregiati dell’antichità, al tempo estremamente costoso e di altissima qualità. Veniva chiamato anche “vino di Gaza”, dal nome del porto principale dal quale veniva spedito in tutti gli angoli dell’Impero.
Il sito di Halutza è stato dichiarato patrimonio dell’UNESCO per la sua importanza storica: in epoca bizantina la città che sorgeva qui era la più importante dell’area del deserto del Negev dopo essere stata una tappa obbligata lungo la via dell’incenso nabatea. Fino ad ora gli archeologi erano incappati in tracce dei terrazzamenti dove si coltivava l’uva, nelle cantine dove la produzione del vino aveva luogo e anche nelle giare all’intero delle quali il vino era conservato ed esportato. La vera svolta però è venuta dai rifiuti! È stato infatti in alcuni contenitori della spazzatura che sono stati ritrovati dei semi dell’uva dalla quale si produceva il vino del Negev. Il prossimo passo sarà la collaborazione con i biologi per sequenziare il DNA dei semi e scoprirne l’origine, con uno scopo non soltanto puramente “edonistico” o “intellettuale” ma anche pratico. Le uve coltivate nella zona oggi non sono autoctone ma frutto dell’importazione da Francia ed Italia: queste varietà richiedono molta acqua, cosa che forse non valeva per il vitigno originario di questa zona arida e brulla.