Vito Tartamella, studioso di psicolinguistica e autore del libro “Parolacce”, è considerato il maggior esperto italiano di turpiloquio. In occasione di Expo ha pubblicato nel suo sito web una lista di etichette davvero inedita: quella dei cibi e dei vini osè. In particolare per i prodotti enologici, dice Tartamella, non è stato affatto difficile: «è stato un vero crescendo: man mano che ne trovavo qualcuno, ne saltavano fuori sempre di nuovi, e alcuni navigatori hanno ulteriormente arricchito l’elenco».
Il primato incontrastato va ai toscani: è il caso del vino Scopaio, un Cabernet Sauvignon, Syrah, il cui nome in realtà, fa riferimento alla località Lo Scopaio a Castagneto Carducci, in provincia di Livorno. Ma poi in giro per la penisola c’è il “Nero di troia”, il “Rosso Bastardo” o il “Bernarda”. Poi ci sono gli incidenti com’è stato per la birra “Stronzo”. La bevanda, prodotta in Danimarca in diverse varietà, a quanto pare è nata perché i proprietari avevano sentito la parola italiana, ne amavano il suono ma non ne sapevano il significato. «Il mondo dei vini, e degli alcolici in generale – dice Tartamella – riserva notevoli sorprese agli appassionati di parolacce e di goliardia: l’alcol libera i freni inibitori, e un nome osceno apre le porte dell’erotismo. Ma anche il marketing ci mette lo zampino: con 44 milioni di ettolitri di vino prodotti nel 2014, l’Italia è il secondo produttore al mondo, ed è sempre più diffusa l’esigenza di avere un’etichetta che attiri l’attenzione e sia facilmente memorizzabile».