Allevatori contro ambientalisti e animalisti in un confronto molto ideologico e poco
scientifico
Si sta radicalizzando lo scontro sulla carne coltivata in laboratorio con i contrari che paventano una imminente catastrofe. Antonella Viola, immunologa e divulgatrice scientifica, è scesa in campo in questa tenzone e lo ha fatto con parole estremamente nette: «La produzione di carne in laboratorio, a partire dalle cellule staminali degli animali che vengono fatte crescere allo scopo di creare il muscolo che mangiamo, richiede meno energia, suolo e acqua. Non necessita di allevamenti intensivi e non causa sofferenza agli animali. Inoltre, è una carne prodotta in un ambiente estremamente controllato ed esente dalla contaminazione da parte di patogeni pericolosi per la salute umana». E conclude: «Peccato – per noi – che il resto del mondo andrà avanti, altri Paesi diventeranno leader nell’alimentazione del futuro e le nostre start-up e aziende innovative resteranno al palo».
E certamente il ‘mondo andrà avanti: l’istituto di ricerca Barclays prevede che il giro d’affari potrebbe raggiungere a livello mondiale i 450 miliardi di dollari nel 2040, ossia non più del 20% del mercato attuale. Dal mondo animalista e ambientalista si sottolinea che la carne coltivata è l’unica alternativa alimentare per evitare il disastro climatico acuito dai gas serra degli allevamenti e dall’impiego massivo di acqua.
L’allevamento intensivo di animali, necessario per soddisfare la domanda di carne, impatta sull’ambiente per il 30% di utilizzo di suolo e circa l’8% di acqua dolce, generando il 17% dei gas serra del pianeta. Uno studio dell’Università di Oxford, “Environmental Impacts of Cultured Meat Production”, ha concluso che, rispetto alla carne prodotta in modo tradizionale, quella di laboratorio potrebbe ridurre le emissioni di Co2 del 96%, con un consumo d’acqua inferiore fino al 95%, ed energetico tra il 7 e il 45%.
Di ‘catastrofe’ parla invece Coldiretti facendo direttamente riferimento all’attuale stato della produzione italiana di carne attribuendo all’intera filiera, comprendente anche la distribuzione e la ristorazione, una valore complessivo di 580 miliardi di euro. “A rischio – scrive Coldiretti – sarebbero circa 4 milioni di posti di lavoro in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e ben 230mila punti vendita al dettaglio”.