La situazione rilevata dall’Inps evidenzia un’economia sommersa dannosa per il Paese
Sono poco più di 650.000 (650.989) gli occupati legati ad attività stagionali, come rilevati dall’Inps nel 2022 che hanno lavorato almeno per una giornata. Il 50.5% sono donne e il 49.5% uomini. Senza sostanziali differenze in termini di giornate lavorate, la retribuzione annuale media per gli uomini è di 8.793 euro e di 7.265 euro per le donne.
Guardando alle giornate retribuite per l’anno 2022, si evidenziano due aspetti: rapporti di lavoro per poco più di 4 mesi (per 114 giornate in media, 116 per gli uomini e 112 per le donne) mentre si hanno 98 giornate, per poco più di 3,5 mesi di lavoro, prevalentemente per gli under 35 che rappresentano il 51,1% degli occupati stagionali e la cui retribuzione media annua si attesta a 6.400 euro. Nel rapporto tra giornate lavorate e retribuzione sono evidenti anche le differenze territoriali: al Nord la media è di 9.391 euro e 124 giornate lavorate, al Centro 7.094 euro e 101 giornate, fino a scendere nel Mezzogiorno a 6.705 euro e 107 giornate lavorate.
Sempre secondo i dati Inps i settori dell’alloggio de ristorazione si confermano quelli a più alto impatto rispetto alla stagionalità, con il 60%, seguiti dall’attività artistica, intrattenimento, divertimento con l’11%, e le agenzie viaggi, noleggio, servizi alle imprese con il 7%: da soli rappresentano il 78% del totale dell’intera attività stagionale.
Il lavoro stagionale potrebbe essere un’opportunità per studenti – lavoratori, ma spesso è l’unica scelta disponibile che non garantisce una stabilità del reddito pur con l’integrazione della Naspi al raggiungimento dei requisiti di accesso. Proprio sulla Naspi la Cgil ha ribadito come l’intervento di riduzione previsto dal D.lgs 4 marzo 2015 n. 22 abbia penalizzato i lavoratori stagionali.
Partendo dai settori più impattati dalla stagionalità, dove per dimensione il turismo e il suo indotto sono prevalenti, alla lettura dei dati sull’occupazione è necessario affiancare la condizione reale delle lavoratrici e dei lavoratori. Dai risultati dell’attività di vigilanza per l’anno 2023 dell’Ispettorato nazionale del lavoro si conferma che il fenomeno dell’irregolarità e delle violazioni in materia di lavoro emerge proprio in quella filiera del turismo che di “Open to Meraviglia”, la campagna promozionale del ministero del Turismo, ha davvero poco.
Riposi non rispettati, orari flessibili, supplementari e straordinari non pagati, lavoro nero e grigio, esternalizzazioni e appalti. Una condizione opaca che produce la lesione della dignità, della tutela e dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, alimentando quell’economia sommersa socialmente dannosa per il Paese.
Una condizione che il sindacato continua a denunciare, su cui interviene con la contrattazione e la vertenzialità e su cui chiede la necessaria attenzione, interventi mirati, controlli più ampi e diffusi per ricostruire una cultura della piena legalità e correttezza delle condizioni economiche e normative del lavoro, in una filiera rilevante per l’economia del Paese e in crescita costante, che con adeguate politiche di settore potrebbe superare i limiti della stagionalità stessa.
Il governo invece ha deciso per la promozione ed estensione dell’uso dei voucher proprio a questi ambiti lavorativi dove non erano diffusi, quali ricettività e ristorazione. Non ha agito per ridurre le altre forme di lavoro precario come il contratto a chiamata. E per attrarre occupati nel settore ha previsto un intervento temporaneo di agevolazioni nella tassazione del lavoro straordinario festivo e notturno. Nulla sui problemi delle persone che nel settore lavorano, non un intervento a sostegno del rinnovo dei contratti nazionali di lavoro che nel turismo mancano da diversi anni, aggravando la condizione salariale. Rinnovi contrattuali che chiamano alla responsabilità imprese e rappresentanze datoriali del settore.
Anche il 2024 si prospetta positivo, tanto che il 24,9% delle camere disponibili tra maggio e settembre risulta già prenotato, con tassi di riempimento migliori che nel 2023. Questi i dati del politecnico di Milano, che ha evidenziato anche come il turismo nel 2023 abbia registrato un giro d’affari di 36,6 miliardi di euro, dimostrando di essere un motore importante per l’economia nazionale.
La fotografia che emerge sull’occupazione ci dice che siamo di fronte a una crescita dei numeri espressi dal settore, che però non si accompagna alla crescita della qualità del lavoro.
Eppure, il dibattito generale e la politica, all’avvicinarsi di ogni stagionale del turismo balneare, si concentrano sul mantra della mancanza di lavoratori, sul problema della mancanza di competenze. La questione del “mismatch” non è un problema residuale, ma chiama in causa diversi piani di intervento: l’investimento vero sulla formazione, anche da parte delle imprese, le politiche attive del lavoro, la revisione del decreto flussi per costruire, per esempio, un sistema di ingresso regolare di lavoratori migranti.
La verità da cui partire è che le lavoratrici e i lavoratori diretti e indiretti del turismo non dicono no al lavoro, dicono no alla precarietà, all’illegalità e allo sfruttamento. Perché quello che è difficile trovare è un’offerta lavorativa regolare, disciplinata dai contratti nazionali siglati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, con la retribuzione che questi prevedono, turnazioni nella norma, straordinari pagati, riconoscimento dei dovuti riposi, ferie, malattia.
Parlare di stagionalità significa parlare anche del mondo agricolo dove secondo le elaborazioni più recenti dell’ufficio studi della Fondazione Metes sugli elenchi dei lavoratori agricoli subordinati dell’Inps¹ nel 2023, i circa 900 mila (878.208) operai agricoli a tempo determinato occupati nelle imprese agricole italiane sono stati impegnati complessivamente per 87,1 milioni di giornate di lavoro, in media 99,2 giornate annue per lavoratore. Nel 2023 i lavoratori agricoli subordinati appartengono prevalentemente alle fasce “102-151 giornate”, “51-101 giornate” e “meno di 20 giornate” dove, in particolare, si collocano rispettivamente il 25,7%, il 18,8% e il 17,4% del totale degli OTD. Nel 2023 gli operai agricoli a tempo determinato appartenenti al genere maschile sono stati 582.689 (66,3% del totale), 295.519 le lavoratrici (33,7%). La prevalenza degli operai a termine ha oltre 40 anni (59,2% del totale). La componente straniera rappresenta il 39,3% del totale di lavoratori a tempo determinato. Nel 2023 complessivamente i lavoratori agricoli stranieri a tempo determinato sono oltre 345 mila.
Il VI Rapporto agromafie e caporalato² stima in circa 230 mila gli occupati impiegati irregolarmente nel settore primario (oltre 1/4 del totale degli occupati del settore), in larga parte “concentrati nel lavoro dipendente, che include una fetta consistente degli stranieri non residenti impiegati in agricoltura”. Il disagio occupazionale in agricoltura riguarda in particolare la componente femminile. Si stima siano circa 55 mila le lavoratrici in condizioni di irregolarità?, condizione che si articola in un triplice sfruttamento: lavorativo, retributivo e finanche sessuale.
Nel comparto agricolo si riscontra la tendenza a generare “lavoro povero” ove prevalgono individui che pur avendo lavorato mostrano redditi personali e familiari decisamente al di sotto dei valori medi. In particolare, in Italia circa 8,6 milioni di persone hanno un reddito disponibile familiare equivalente annuo inferiore alla metà del reddito mediano misurato su tutti i residenti (cioè? inferiore a 8.300 euro). Escludendo i lavoratori stranieri non residenti, poco meno di un terzo dell’occupazione agricola (pari a oltre 300 mila unità) ricade in questa area a bassissimo reddito, con un’incidenza che è il triplo di quella media, senza contare un ulteriore 3,7% di occupati agricoli facenti parte di nuclei famigliari privi di segnali di redditi emersi.
Il lavoro agricolo per la sua esposizione ai fenomeni dello sfruttamento e del caporalato resta al centro di una grande attenzione. Il lavoro svolto dal sindacato ha portato all’importante disciplina della legge 199/2016 che rappresenta il punto più avanzato della legislazione in materia. Importante anche la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori, garantita dall’attuazione della condizionalità sociale introdotta
nell’ultima riforma della Pac, politica agricola comune, frutto della mobilitazione sindacale.
Un’attenzione necessaria e costante, confermata anche nel Piano nazionale di contrasto al lavoro sommerso, condizionalità legata al Pnrr, con azioni e specifici comitati di monitoraggio e costruzione di interventi richiamati nel Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato. Strumenti che vengono svuotati nella condivisione, confronto ed efficacia a partire da uno degli obiettivi legato al superamento degli insediamenti abusivi per combattere lo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura; insediamenti abusivi, dei veri e propri ghetti, che identificano ancora oggi le condizioni di vita non dignitose in molti territori del nostro Paese e dove vivono migliaia di lavoratori agricoli migranti, gli stessi lavoratori che garantiscono la produzione dei prodotti di eccellenza del nostro Made in Italy.
Obiettivo che, senza passaggi veri con le organizzazioni sindacali e le amministrazioni territoriali, è stato introdotto nel Dl 19 convertito nella legge n. 56 del 29/4/2024 e che vede la scelta del governo di nominare un commissario preposto a dare operatività e recuperare il ritardo nel raggiungere uno dei target del Pnrr e non vanificare le relative risorse. Solo investendo su un lavoro stabile, dignitoso, tutelato, sicuro è possibile avere anche un lavoro stagionale di qualità.
(Fonte: Cgil – dati Inps relativi agli operai a tempo determinato, anno 2022)
13 maggio 2024