Secondo i dati dell’Ismea relativi ai primi mesi del 2017, gli Usa si confermano il terzo Paese per import di prodotti agroalimentari italiani, assorbendo un 10% del totale dell’export Made in Italy. Segnale positivo quindi da rapportare al 2016 quando il surplus totale della bilancia dei pagamenti Italia-Usa è stato di 2,9 miliardi di euro, +350 milioni rispetto al 2015.
Fra i comparti più rilevanti per la crescita dell’export agroalimentare italiano verso gli Usa c’è il comparto Vini e mosti, che rappresentano il 35% dell’export totale nel 2016, seguito da oli e grassi (14%) e cereali, riso e derivati (12%). Questi tre settori aggregati valgono oltre il 60% dell’export complessivo.
Utilizzare il Piano Industria 4.0 tenendo conto delle dimensioni aziendali agricole
Proprio questi numeri fanno ancor più preoccupare Luigi Sbarra, segretario generale della Fai, che aprendo i lavori del Congresso nazionale della Federazione agroalimentare-ambientale della Cisl, ha parlato dello “sciagurato protezionismo inaugurato da Donald Trump negli Usa”. La scelta di chiudere ai prodotti Ue, sottolinea il leader Fai, «mette in serio pericolo il raggiungimento dei 50 miliardi di export agroalimentare entro il 2020 e crea ripercussioni sui livelli occupazionali del settore».
In Italia, per Sbarra: «occasione da non perdere è il Piano Industria 4.0, le cui risorse devono generare progetti condivisi capaci di valorizzare la struttura particolare del sistema agroalimentare italiano che, da un lato vede poche grandi imprese affermate a livello mondiale e dall’altro vive di tante piccole e medie realtà d’eccellenza. Servono approcci diversificati a seconda della dimensione dell’impresa e piu’ efficaci luoghi di coordinamento, con maggiori garanzie anche per l’occupazione a bassa qualificazione».