Il sondaggio è stato fatto on line attraverso il sito www.coldiretti.it in preparazione degli Stati Generali della lotta alla contraffazione a Milano. E l’esito conferma che un italiano su due (52 per cento) acquista prodotti contraffatti. Al primo posto è l’acquisto di capi di abbigliamento e accessori taroccati delle grandi firme della moda (29%), vengono poi gli oggetti tecnologici (14%) ed i ricambi meccanici (6%). Stando alle risposte on line, ci sarebbe invece una grande diffidenza nei confronti di medicinali e cosmetici, giocattoli e alimentari (tutti all’1%). In termini assoluti, secondo la ricerca del Ministero dello Sviluppo economico con il Censis, l’abbigliamento e gli accessori valgono un giro d’affari del falso di 2,5 miliardi, i cd, dvd e software 1,8 miliardi e l’alimentare 1,1 miliardi.
Nel presentare i dati, la Coldiretti sottolinea la differenza nel settore degli alimentari per i quali, a differenza degli altri prodotti, la vendita di prodotti taroccati avviene spesso all’insaputa dell’acquirente ed è per questo ancora più grave. Le frodi a tavola si moltiplicano nel tempo della crisi soprattutto con la diffusione dei cibi low cost e sono crimini particolarmente odiosi perché – continua Coldiretti – si fondano sull’inganno nei confronti di quanti, per la ridotta capacità di spesa, sono costretti a risparmiare sugli acquisti di alimenti.
Comprare contraffatto: la Coldiretti chiede di inasprire le norme
Nel presentare il sondaggio effettuato attraverso il proprio sito, la Coldiretti sottolinea le preoccupazioni che riguardano anche il fatto che l’Italia è un forte importatore di prodotti alimentari, con il rischio concreto che nei cibi in vendita vengano utilizzati ingredienti di diversa qualità come il concentrato di pomodoro cinese, l’extravergine tunisino, le mozzarelle taroccate ottenute da latte in polvere, paste fuse e cagliate provenienti dall’estero. Nei primi sette mesi dell’anno, viene precisato, sono stati importati dalla Cina oltre 50 milioni di chili di pomodori conservati destinati con la rilavorazione industriale a trasformarsi magicamente in prodotti Made in Italy perché non è ancora obbligatorio indicare in etichetta la provenienza della materia prima. «Gli ottimi risultati dell’attività di contrasto messa in atto dalla Magistratura e da tutte le forze dell’ordine – ha affermato il presidente della Coldiretti, Sergio Marini – confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie troppo larghe della legislazione a partire dall’obbligo di indicare in etichetta la provenienza della materia prima impiegata, voluto con una legge nazionale all’inizio dell’anno approvata all’unanimità dal Parlamento italiano, ma non ancora applicato. Una priorità è anche quella di chiedere più trasparenza a livello internazionale dove i prodotti alimentari “italian sounding” sviluppano un fatturato di 60 miliardi di euro pari al doppio del valore delle esportazioni del prodotto originale».