Con l’inizio di aprile, a conclusione dell’iter del decreto dello scorso 15 settembre, è arrivato sugli scaffali dei supermercati e dei negozi l’obbligo per i prodotti alimentari confezionati di indicare in etichetta la sede e l’indirizzo dello stabilimento di produzione o di confezionamento. Con l’obbligo arrivano anche sanzioni che in caso di violazioni vanno da 2.000 euro a 15.000 euro, per la mancata indicazione della sede dello stabilimento o se non è stato evidenziato quello effettivo nel caso l’impresa disponga di più stabilimenti.
Quest’obbligo, come abbiamo avuto più volte modo di scrivere, era già previsto dal diritto italiano, ma era poi stato abrogato nel dicembre del 2013 dalle norme europee. Una consultazione on line del Ministero delle Politiche Agricole aveva registrato che l’84% dei consumatori chiedeva la reintroduzione dell’indicazione in etichetta a tutela della qualità delle produzioni Made in Italy. In sostanza può accadere che aziende italiane facciano eseguire operazione di trasformazione del prodotto alimentare in altri Paesi europei od anche non europei e che di italiano su quanto arriva ai consumatori sia solamente il marchio apposto successivamente.
La richiesta è che le più rigide norme italiane vengano ‘copiate’ da tutto il resto d’Europa
Oltre un quarto della spesa degli italiani è ancora anonima, lamenta anche in questa occasione Coldiretti, con l’etichetta che non indica la provenienza degli alimenti, dai salumi ai succhi di frutta fino alla carne di coniglio. Sulla base dei dati dell’Osservatorio Immagino, il tricolore sventola sul 14% delle confezioni alimentari e ben il 25% dei prodotti sugli scaffali si richiama all’italianità, un richiamo non sempre effettivamente corrispondente alle realtà.
Coldiretti e Fondazione Campagna Amica sono impegnate con una serie di iniziative a livello nazionale perché sia esteso a livello europeo l’obbligo di indicare l’origine in etichetta di tutti gli alimenti. «Adesso occorre vigilare – afferma il presidente Coldiretti, Roberto Moncalvo – affinché la normativa comunitaria risponda realmente agli interessi dei consumatori e non alle pressioni esercitate dalle lobbies del falso Made in Italy che non si arrendono e vogliono continuare ad ingannare i cittadini cercando di frenare nel nostro Paese l’entrata in vigore di norme di trasparenza e di grande civiltà».