Quando l’etichetta (quella attuale così com’è) non basta: il formaggio italiano è a rischio non solo per fraudolente produzioni come i cosiddetti ‘parmesan’ o ‘cambozola’ che all’estero inducono in errore molti consumatori. Il falso formaggio di qualità si nasconde anche dietro etichette legalmente ineccepibili o in lavorazioni ammesse dalle norme, ma che non rispettano i canoni delle proprietà alimentari. E’ questo l’allarme lanciato da Cheese, la rassegna internazionale su “Tutte le forme del latte”, una ‘quattro giorni’ svoltasi a Bra, in provincia di Cuneo, che ha visto la partecipazione di decine di migliaia di visitatori.
La ‘falsa qualità’ ha numeri molto più grandi rispetto alle autentiche frodi e alle sofisticazioni dannose per la salute. Paracaseine congelate, panna aggiunta per aumentare il grasso a prezzi modici per il produttore, uno scorretto rapporto tra il ‘cattivo’ omega 6 e il ‘buono’ omega 3 o tra la concentrazione di proteine e di grassi: sono alcuni degli esempi di cattive pratiche, usate invece con molta disinvoltura.
C’è molto falso rispetto alla qualità promessa nelle etichette – è stato detto nei vari incontri organizzati parallelamente all’esposizione – e parte della colpa è della lacunosa legge sul latte di qualità del 1989: è facile trovare formaggi che hanno un rapporto tra Omega 6 e Omega 3 di dieci quando questo non dovrebbe superare il due; oppure quantitativi di grasso che vanno ben oltre il consigliabile 50% rispetto alle proteine. Ci vorrebbero più controlli, ma a renderli più difficili è la grandissima varietà’ di formaggi made in Italy e la resistenza dell’industria che osteggia il necessario provvedimento che obblighi all’indicazione della provenienza del latte sulle etichette.