Si guadagna molto di più con i falsi e (anche) chi lavora per i brand non disdegna ‘arrotontare’
Il calo del valore della lira turca e l’andamento negativo dell’economia del Paese, stanno alimentando il paradosso della Turchia che è contemporaneamente un hub privilegiato della filiera produttiva globale e il terzo esportatore di prodotti contraffatti nell’Unione Europa dopo Cina e Hong Kong.
«Le nostre vendite sono raddoppiate nel 2021. È un ottimo affare quando incassi dollari o euro – dice al quotidiano inglese “The Guardian” il proprietario di un negozio turco che vende accessori tarocchi – Gli stranieri possono acquistare una replica di alta qualità della tuta Nike per 30 euro e rivenderla per 90 euro nel proprio Paese».
Le esportazioni di prodotti contraffatti made in Turkey verso l’Europa sono in aumento: soprattutto abbigliamento, sneaker e borse “non fatte di pelle”. L’Agenzia Italiana delle Dogane e dei Monopoli diffonde quasi quotidianamente comunicati relativi al sequestro di camion provenienti dalla Turchia carichi di prodotti contraffatti ed etichettati Nike, Burberry, Louis Vuitton, Gucci e qualsiasi altro marchio del lusso e della sportiva.
«La contraffazione – spiega Ümit ?zmen, ex manager di TÜS?AD, la Confindustria turca – è generalmente percepita come un reato minore e non un crimine grave. E sappiamo di una rete criminale organizzata che ha il suo snodo nel personale doganale corrotto».
C’è, al fondo di questa ‘doppia vita’ dell’industria turca, un dato che si fa sempre più preoccupante: le stesse fabbriche che producono per i grandi brand internazionali, e che hanno visto in questi mesi aumentare le proprie esportazioni di prodotti originali, ottengono più guadagni dalla parallela produzioni di articoli contraffatti.
«I profitti sono molto più alti nelle merci contraffatte – dice Zeynep Seda Alhas, dello studio legale Gün + Partners di Istanbul che rappresenta alcuni dei marchi globali top – Più alti al punto che, chi produce per i committenti occidentali vede nel falso un salvagente: se gli affari ‘regolari’, dovessero andare male, i profitti della contraffazione potrebbero riassestare i bilanci di molte aziende turche».