Il generale Ignazio Gibilaro, comandante della Gdf della provincia di Roma, non vuole demonizzare il tessuto imprenditoriale cinese in Italia ma traccia un’analisi accurata del malaffare, fiscale e commerciale, radicato in quella comunità: «Gran parte dei prodotti sequestrati su Roma e provincia – spiega – sono riconducibili direttamente o indirettamente a soggetti della comunità cinese. E parliamo di pezzi sequestrati per un valore di milioni di euro, un dato allarmante di inquinamento del circuito economico». In una intervista rilasciata all’AdnKronos, il generale Gibilaro sottolinea che «quando parliamo di soggetti cinesi, parliamo degli alti gradini della filiera del falso, cioè detentori di depositi, di negozi all’ingrosso. Molti sequestri riguardano prodotti hi-tech e a tecnologia evoluta. Ecco che il mercato viene ad essere turbato non solo per quel che riguarda il tradizionale settore della moda d’abbigliamento, ma incide anche sulla tecnologia, uno dei settori che, nonostante la crisi, ancora regge nel sistema paese».
«L’evasione – spiega Gibilaro – nasce con la sottrazione all’imposizione dei guadagni delle attività commerciali lecite, come la ristorazione o i negozi, e si alimenta con il nero che arriva, alle volte, dal reimpiego dei proventi della contraffazione o di altre attività illecite, come ad esempio la prostituzione. Rispetto a redditi dichiarati di entità medio-piccola, ci troviamo di fronte a delle ricchezze patrimoniali, quindi in termini di immobili, particolarmente significative. La comunità cinese ha investito molto nel mattone, hanno acquistato in maniera sistematica soprattutto in determinate aree della città di Roma. Il denaro circola quasi esclusivamente contante e quasi mai attraverso istituti bancari».
I proventi della contraffazione portano quindi al reinvestimento immobiliare o a flussi finanziari che, tramite i money transfer, vengono riportati verso l’estero per alimentare lo stesso circuito illecito nel paese d’origine.