A seguito dei controlli svolti allo scalo merci “Cargo City” dell’aeroporto di Fiumicino, le Fiamme Gialle e i funzionari dell’Agenzia delle Dogane hanno scoperto e stroncato una diffusa organizzazione che fraudolentemente applicava una etichetta con l’indicazione di provenienza “Made in Italy” su articoli di pelletteria (soprattutto borse, scarpe, portafogli e cinture) realizzati totalmente all’estero, principalmente Cina e India.
I controlli alla frontiera venivano elusi presentando in dogana prodotti riportanti la corretta certificazione di origine, cioè Made in China o in India, sia sui documenti che sugli stessi articoli. Tuttavia, i finanzieri sono stati insospettiti dalle modalità di applicazione delle indicazioni, che ne consentivano la facile asportazione, senza, soprattutto, intaccare l’integrità dei prodotti. E, infatti, una volta giunti nei magazzini aziendali, l’operazione dettata dagli imprenditori era proprio quella di procedere alla rimozione delle etichette dalla merce e sostituirle con quelle “Made in Italy”.
Pelletteria cinese e indiana diventava ‘Made in Italy’ moltiplicando per dieci il proprio valore
L’espediente permetteva alle aziende di sfruttare il marchio di qualità garantito dalla professionalità e straordinaria competenza dei nostri artigiani, peraltro ubicate in una regione notoriamente riconosciuta per l’elevata pregevolezza dei prodotti manufatturieri, inducendo in errore il consumatore finale sulla “qualità italiana”, ritrovandosi ad acquistare, ad un prezzo anche di oltre 100 euro, articoli con un valore reale addirittura inferiore ai 15.
A conclusione dell’indagine, i militari del Gruppo di Fiumicino hanno denunciato i 2 rappresentanti legali di altrettante aziende italiane che rivendevano la loro merce “spacciandola” per prodotto dell’artigianato italiano: i controlli, eseguiti in provincia di Fermo, hanno portato al sequestro oltre 270.000 articoli e relative componenti di pelletteria con le false etichette. La merce sequestrata, qualora immessa in vendita sugli scaffali dei diversi rivenditori nazionali o sulle bacheche dei principali siti di e-commerce, avrebbe consentito un guadagno di oltre 20 milioni di euro.