Per l’Ufficio studi economici della Sace, la società di prodotti e servizi assicurativi che sostiene le aziende italiane nei loro rapporti con l’estero, quello attuale è un momento particolarmente propizio per un recupero di competitività dell’agroalimentare italiano sui mercati internazionali. A dare fondamento a questa affermazione sono alcuni fattori oggettivi: “ripresa economica delle nazioni a elevata domanda di Made in Italy; segnali di fiducia dal mondo imprenditoriale nazionale; nuova liquidità per effetto del prossimo quantitative easing; deprezzamento dell’euro verso dollaro e franco svizzero; e non ultimo l’Expo 2015 come vetrina dell’Italia nel mondo”.
Secondo Sace, se ci concentrassimo sui dieci settori e comparti di punta del nostro export agroalimentare (carni, cacao, ortaggi legumi e frutta, formaggi e latticini, mele e pere, caffè, olio d’oliva, salumi e salsicce, pasta, vino), intensificando la penetrazione sulle geografie più promettenti per ciascuna categoria merceologica, entro il 2018 sarebbe possibile incrementare l’attuale export agroalimentare italiano di oltre 7 miliardi di euro. Considerando che l’export agroalimentare italiano – spiega Sace – è stato di circa 33 mld di euro nel 2013, si potrebbe arrivare quindi a oltre 40 miliardi, “a conferma del fatto che la quota 50 entro il 2020 è raggiungibile in modo concreto”, ossia andando a calibrare le azioni direttamente sui mercati di opportunità a livello di singoli comparti.