L’associazione Aidepi, che raccoglie in maggiori pastai italiani, interviene sulla questione dell’obbligo, annunciato dai due Ministri alle politiche agricole e allo sviluppo economico, di indicazione in etichetta dell’origine del grano utilizzato per fare la pasta precisando che “l’anno scorso abbiamo formulato al Governo un’ipotesi di indicazione nelle etichette della pasta che valorizzasse l’arte del pastaio italiano di miscelare le migliori semole ottenute da grani duri di elevata qualità, anche esteri”.
“Le indicazioni scelte – continua Aidepi – sono, a nostro avviso, fuorvianti, perché tendono a indurre il consumatore a preferire le paste alimentari immesse sul mercato in base all’origine italiana della materia prima impiegata e non alla loro intrinseca qualità. Si potrebbe determinare l’aberrante effetto di vedere immesse sul mercato italiano paste prodotte in Italia da private label estere a partire da grano duro italiano scadente presentate come autenticamente Made in Italy, senza che a questa prefigurazione corrisponda una reale qualità”.
Il decreto sull’origine del grano in etichetta non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale
Un problema indubbiamente aperto è quello relativo alla validità del provvedimento ministeriale: gli stessi Martina e Calenda hanno sottolineato l’auspicio che l’Europa segua l’Italia su questa strada, implicitamente confermando che l’obbligo nazionale preannunciato non ha efficacia nei confronti di pastai esteri che dovessero esportare in Italia la loro pasta senza dover indicare l’origine del grano.
Per i pastai italiani non è questo il solo difetto del provvedimento governativo: “non informa il consumatore, sostiene interessi di parte, non risolve i problemi della filiera italiana, non incentiva la produzione di grano duro italiano quantitativamente sufficiente e qualitativamente adeguata. Continuiamo a pensare che si debba aiutare il consumatore spiegandogli quando e perché un grano è di qualità, che sia nazionale o estero, e tutto il processo di sicurezza. Per questo un’etichetta di origine non basta”.