Ad essere sinceri, noi che da queste colonne continuiamo a parlare di qualità del cibo siamo rimasti inorriditi dalla notizia che potremo presto avere dispositivi in grado di simulare il sapore di un cibo senza neanche doverlo avvicinare alla bocca. Il mondo del gusto, così personale ed evocativo dei nostri ricordi anche infantili, rischia di diventare ‘virtuale’ in forza degli studi del professore dell’Università di Singapore, Nimesha Ranasinghe.
L’esimio ricercatore ha recentemente presentato, allo User Interface Software and Technology Symposium di Tokyo, un sensore in grado di provocare una precisa stimolazione che si traduce nella percezione di un gusto. Basterà insomma appoggiare la lingua su questo sensore ed ecco che, agendo sulle differenti temperature, si potrà percepire un gusto più dolce o più piccante. I partecipanti a un esperimento preliminare hanno descritto un sapore piccante quando la temperatura raggiungeva i 35 gradi, mentre attorno ai 18 avvertivano un sapore di menta.
Nulla in contrario alla ricerca del professore Ranasinghe, già noto in passato per aver realizzato un cucchiaio che sfruttando la stessa tecnologia poteva amplificare il sapore di un certo cibo. Ma permetteteci di rivendicare il diritto al piacere del cibo: nella giusta quantità, con l’amorevole cura necessaria alla sua preparazione, nella cultura tradizionale che sa esprimere grazie al legame con il suo specifico territorio.
La ricerca di Nimesha Ranasinghe potrà essere importante in campo medico, ad esempio per le persone affette da diabete potrebbero aumentare il senso di dolcezza del cibo senza dover ricorrere all’uso dello zucchero, mentre i pazienti che affrontano la chemioterapia potrebbero favorire la stimolazione dell’appetito durante le cure. Ma professore, tenga il suo genio lontano dalle nostre tavole e ci lasci il piacere di distinguere la qualità del nostro Made in Italy agroalimentare.