Siamo di fronte alla più grave crisi dal secondo dopoguerra, un’emergenza sanitaria ormai planetaria che sovrasta ogni altro aspetto della vita umana. A fronte del quotidiano bollettino di vittime, il valore delle persone, di quelle ammalate e di quelle che si sacrificano per dare loro una speranza, ci porta a riflettere sulle priorità che abbiamo dato alla convivenza sociale. Ciascuno lo sta facendo a modo suo: credenti di questa o quella religione; propugnatori delle scelte etiche o filosofiche più disparate; scettici e non credenti convinti.
Lo sguardo sulla nuova era che verrà, quella del ‘dopo-virus’, costringe tutti a più d’una riflessione e nessuno ha una risposta. Basti pensare alla decisione del Governo di chiudere tutte le attività non essenziali, in prima fila musei, teatri, cinema, scuole e università, come se cultura e istruzione fossero meno essenziali. Poi la chiusura dei negozi, ma restano aperti gli alimentari e le tabaccherie, perché a tutto si può rinunciare tranne che al (dannosissimo) fumare. E per la chiusura delle fabbriche, gli industriali sono insorti ritenendo la loro, comunque e sempre, una attività ‘essenziale’.
È come se in questa parte del mondo (forse in tutto, ma limitiamoci alla conoscenza che abbiamo di casa nostra) non fosse realmente chiaro che cosa sia ‘essenziale’, per chi e con che fine, se mai ce ne debba essere uno. Non è ozioso chiederselo, visto che l’essenziale è quello che merita di essere portato anche ‘oltre il muro’, nella prossima età dopo quella del bronzo, del ferro e quella del petrolio.
Il ‘dopo-virus’ non potrà essere uguale a quello che c’era prima. È come una vecchia auto del secolo scorso, lasciata per anni chiusa in un fienile: prima di farla ripartire bisogna revisionarla, spenderci del denaro, cambiare qualche pezzo. E quando poi riusciamo a metterla in moto, scopriamo che non ha più gli optional che oggi riteniamo importanti e corrispondenti ai nostri desideri.
Ci sarà la rincorsa a riaprire le fabbriche, gravate dei debiti maturati in questo periodo di inattività; ciascuno vorrà riconquistare i mercati di Paesi lontani e magari sospettosi di ciò che arriva da oltre confine; sarà necessario ricostruire un clima di fiducia internazionale e all’interno del nostro stesso Paese. Ma la fiducia, si sa, non si riaccende girando una chiave nel cruscotto.
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