Nell’ovattato mondo della diplomazia internazionale, dove nulla mai si dice apertamente ma lo si lascia solo intendere, hanno avuto l’effetto di un elefante in una cristalleria le parole di Angela Merkel dopo la due giorni del G7 a Taormina. «I tempi in cui potevamo fare pienamente affidamento sugli altri sono passati da un bel pezzo» è la lapide che la leader tedesca ha scritto sui rapporti con gli Stati Uniti di Trump.
Più vellutato, anche per uno stile personale che poco si attaglia alle dichiarazioni incisive, il nostro Presidente del Consiglio. Gentiloni quando dice che c’è stata “una discussione vera e autentica” di fatto conferma che Europa e Stati Uniti parlano davvero due lingue diverse. E che la reciproca fiducia latita.
Sappiamo che la prima pietra che costruisce il muro che divide i due lati dell’Atlantico è la posizione assunta da Trump sulla lotta al riscaldamento globale e la determinazione di non rispettare gli impegni assunti su scala internazionale nell’ambito dell’Accordo di Parigi.
Meno nera sembra essere invece la partita relativa agli argomenti che trattiamo in queste nostre pagine: Trump, nelle scarne sei pagine del comunicato finale, ha accettato un impegno “a tenere i mercati aperti e a combattere il protezionismo, ferma restando la volontà di combattere le pratiche commerciali scorrette”.
Una formulazione questa che potrebbe anche suonare a favore del nostro export, evidentemente danneggiato da sempre dalle pratiche scorrette che vanno dalla contraffazione all’italian sounding. Ma da una lato sappiamo che l’amministrazione statunitense dichiaratamente vuole in primo luogo favorire la produzione a stelle e strisce; dall’altro resta la domanda posta da Angela Merkel: “ci si può fidare di Trump?”