Come genovese seppur “emigrato” e figlio d’ingegnere ancor più genovese, me lo posso permettere; così come una testata, che si occupa di innovazione e qualità del prodotto, non può esimersi dallo spendere qualche considerazione sulla tragedia del ponte Morandi nel capoluogo ligure.
La cosa, che più mi sconcerta, è sentire luminari dell’ingegneria affermare che è notorio (ma per chi?) che le moderne opere pubbliche, realizzate con materiali viavia più evoluti, abbiano una scadenza (20,30, 50 anni…) e che vadano abbattute, quando i costi di manutenzione superino quelli della ricostruzione ex novo; questo per ragioni economiche… ma di chi?
A prescindere dalla follia di una società “usa e getta” e quindi senza memoria postuma, come puo’ accettare tale filosofia un Paese quale l’Italia, dove l’idea di manutenzione (da quella di casa a quella del territorio) è “culturalmente” lontana? Senza considerare che non abbiamo probabilmente le risorse economiche per permetterci adeguati standard manutentori.
Dopo ogni sciagura si annunciano risorse eccezionali per piani straordinari; ma qualcuno ricorda #casasicura o #scuolasicura? Senza considerare che uno dei primi atti del nuovo Governo è stato sciogliere la Struttura di Missione #italiasicura, un’intuizione felice di chi lo aveva preceduto e che era riuscita a sbloccare risorse per la sistemazione del territorio, perse nei meandri della burocrazia.
Ora, per qualche settimana, è scattata la caccia alle ammalorate infrastrutture viarie (una miriade). Ma la stabilità dei viadotti ferroviari? Le strutture sanitarie o quelle scolastiche a rischio idrogeologico? E quelle turistiche, minacciate da frane? Se ne “annuncerà” la soluzione alla prossima tragedia, perché la cosa più semplice, cioè costruire “a regola d’arte” (come un tempo) in luoghi consoni, non pare essere argomento all’ordine del giorno di questa supposta modernità, che uccide.
Fabrizio Stelluto