Abbiamo riportato ampiamente le preoccupazioni italiane, espresse da tutte le componenti istituzionali ed associative, per la decisione della Ue di importare dalla Tunisia 70 mila tonnellate di olio nei prossimi due anni senza alcun dazio. Proteste assai vivaci dal mondo dell’agricoltura che teme un tracollo della redditività del prodotto nazionale e polemiche roventi sul fronte politico per il fatto che la metà degli europarlamentari italiani della componente di centrosinistra abbia votato a favore del provvedimento.
Trovo però sorprendente, a meno che non ci sia una strumentale malizia, che nessuno si sia preso la briga di ricordare che, come si legge nella notizia che abbiamo pubblicato su queste pagine giusto un anno fa (19 marzo 2015), l’Italia è “il secondo produttore dopo la Spagna, il primo importatore e il secondo esportatore, in quanto per uso ormai consolidato importa olio sfuso ed sporta olio confezionato”. I dati erano quelli presentazione al Mipaaf in occasione del premio speciale per Expo di “Ercole Olivario 2015”.
Dati indiscutibili quindi, ma anche empiricamente confermabili dal comune consumatore che al supermercato controlli le bottiglie d’olio d’oliva extravergine: quelle che riportano il marchietto “100% italiano” sono una nettissima minoranza; ed in minoranza sono anche quelle che scrivono “prodotto comunitario”. Cioè tutti i giorni verifichiamo che il nostro olio arriva da una delle circa 300 unità industriali imbottigliatrici operanti sul nostro territorio nazionale, perlopiù localizzate al Centro-Nord, in particolare Umbria e Toscana, ma che l’olio ha le provenienze più varie, Tunisia compresa. All’Italia è, in maniera unanime, riconosciuta una grande capacità di selezionare miscele di olii extravergini, miscele molto apprezzate anche all’estero.