Si è parlato molto della carni rosse, messe sul banco degli imputati dall’OMS. Molte voci si sono levate invocando un ritorno alla dieta mediterranea. Altre hanno tranquillizzato i consumatori sulla qualità del prodotto italiano, igienicamente molto controllato. Campane diverse per un tema che certamente colpisce con immediatezza l’opinione pubblica. Tutti ci siamo fatti un’idea e il più delle volte ciascuno ha trovato nelle notizie la piena conferma di quello che era già da tempo il proprio precedente convincimento.
Tutto questo per spiegare che l’informazione è fondamentale. Non quella dei quotidiani o, peggio, della televisione. Quest’ultima entra nelle nostre case con i notiziari quando siamo più distratti, mentre siamo preparando il pranzo o la cena, e non ci da la possibilità di capire, di riflettere. Estremizzando, ‘Gazzetta Tv’ arriva a proporre la formula ’11×90′, cioè undici notizie in novanta secondi: le pillole di informazione che non informano.
Altra cosa è quella di cui abbiamo bisogno quando parliamo di salute e di alimentazione. Qualche giornale ci si è provato, ma quel che conta è per il consumatore l’abitudine a conoscere quello che porta in tavola. Ecco allora che è certamente positivo che dal 2016 torni ad esser obbligatorio nel nostro Paese che sull’etichetta sia scritto il luogo dello stabilimento di confezionamento dei prodotti pronti agroalimentari. Un obbligo deciso dal Governo sulla base delle sollecitazioni espresse dalle associazioni dei produttori e dei consumatori.
Non un obbligo in più per gli italiani rispetto alla platea europea, ma una garanzia in più che il nostro sistema può offrire, un puntare sulla sicurezza di processi agroindustriali controllati. Una piccola dicitura che vale più di un bollino di qualità, la strada giusta anche per la prossima battaglia da intraprendere: quella per garantire la provenienza delle materie prime che arrivano sulla nostra tavola.