“Un altro anno è andato, la sua musica ha finito” è non è stata granchè bella potremmo dire, parafrasando Francesco Guccini. Eppure, in un anno tanto difficile, qualcosa di buono si intravvede, soprattutto per il futuro dell’Unione Europea, definitivamente orfana della Gran Bretagna (ma non è detto della Scozia).
Il “mal comune” del Covid ha fatto capire che da soli non se ne esce, soprattutto in tempi di globalizzazione ed il vaccino a disposizione di tutti è veramente una rivoluzione culturale. Forse abbiamo pure capito che la Terra è una casa comune ed è l’unica, che abbiamo; la strada per scelte coraggiose è difficile, ma la sconfitta del negazionismo trumpiano e la crescente sensibilità nelle comunità sono segnali importanti per l’ambiente.
Paradossalmente ci siamo anche resi conto che la sfrenata delocalizzazione è un elemento di debolezza per il sistema economico, messo a rischio dalle fragilità di Paesi terzi, siano essi in via di sviluppo oppure la Cina. Sarà inevitabile, quindi, una revisione delle strategie planetarie, riportando “in house” quantomeno le fasi strategiche dei cicli industriali: a rischio, infatti, non ci sono i margini del profitto, ma la stessa capacità produttiva. Insomma, c’è davvero da (ri)costruire la società mondiale ed a sorvegliarci ci sono le preoccupazioni dei giovani, cui saremo costretti a lasciare un mondo diverso con la speranza che lo sappiano fare migliore.
Nel nostro piccolo continueremo a monitorare quanto sta evolvendo nel Globo, consapevoli che la tecnologia, frutto di intelligenza, dovrà contribuire a ridurre e non accentuare le differenze. Per il bene di tutti.
Il Direttore
Fabrizio Stelluto