L’auspicio per chi si occupa di innovazione, in questo particolare momento dell’anno incline alla riflessione, dovrebbe essere: fermiamoci per ripensare tutto prima che sia troppo tardi! Servirebbe, infatti, un approccio omeopatico alla società, curando la causa e non i sintomi: il mondo ce lo urla tutti i giorni.
La recente tempesta Vaia, che ha colpito molti boschi del Nordest, è lì a testimoniarlo: l’uomo nulla può contro l’atavica forza della natura, ingigantita dai cambiamenti climatici innestati da un supposto progresso, che appare colpevolmente inarrestabile. E quando l’evento è solo espressione della cruda natura (un vento forte come mai si era visto in Italia) siamo assolutamente impreparati. L’innovazione ora sarà quanto di più elementare possibile per evitare che, al danno dei milioni di alberi abbattuti, si abbini la beffa del crollo del prezzo del legno.
Si tratterà di trovare luoghi dove stoccare, per qualche anno, milioni di metri cubi di legno da immettere poi progressivamente sul mercato per non inflazionare l’offerta. Come insegnano le secolari “bricole” lagunari, il legno immerso nell’acqua, cioè in assenza di ossigeno, si preserva da funghi ed insetti; bisognerà, insomma, provvedere a tenere bagnate le cataste in aree protette per saturarle d’acqua e successivamente essicarle secondo necessità.
Morale: a salvarci non sarà la tecnologia fine a se stessa, ma quella applicata ad un reale fabbisogno umano; se non ne siamo capaci noi, saranno i cataclismi a porci il problema. Oggi si chiama “economia circolare”, ma negli anni ’70 del secolo scorso si chiamava “limiti dello sviluppo”. Li abbiamo superati e pensiamo di governarli con palliativi tecnologici, ma ci sarà sempre chi ci richiamerà all’ordine (delle cose). Per questo, fermarci a riflettere, conviene: bisogna riprendere a camminare, non rotolare, verso il futuro.
Fabrizio Stelluto