Sono almeno tre i fatti accaduti in questi giorni che meriterebbero un commento su queste colonne. Il più recente è il documento sulle pressioni USA nella trattativa sul commercio transatlantico con l’Europa. Avevamo già espresso la nostra preoccupazione per la segretazione dei documenti imposta in Germania sui documenti relativi. Il sospetto di allora, si è oggi concretizzato.
Intanto nel Vecchio Continente, il Parlamento in seduta plenaria ha espresso un parere che certamente non è favorevole al semaforo inglese per le etichette dei prodotti alimentari. Una maggioranza di parlamentari europei ha detto che non si accontenta di “tre colori” per orientare i consumi.
Infine, a Roma, il tavolo attorno al quale sedevano produttori, industriali, GDO e Ministero ha determinato un meccanismo oggettivo per la determinazione del prezzo del latte, settore che rischia d’essere strangolato dalla concorrenza di prodotti senza qualità.
Sì, questa è la parola che di fatto collega tutti e tre gli eventi appena citati: qualità. Ma, visto che ogni medaglia ha il suo rovescio, di parole se ne potrebbe usare anche un’altra: industria.
Perché il latte italiano, per quanto di qualità, potrebbe essere superfluo se i formaggi si possono fare senza latte e se l’industria guarda esclusivamente all’aspetto dei costi. Ed il semaforo che condanna la dieta mediterranea, piace a quell’industria che punta solo su prodotti accattivanti esteriormente. La sfida del TTIP è ancor più esplicita quando si pensi al confronto tra le più restrittive normative europee per il cibo che arriva sulla nostra tavola e i grandi volumi che i colossi d’oltreoceano riescono a sfornare.
Tra industria e qualità, la scelta è al consumatore: sperando che il bombardamento mediatico al quale siamo tutti sottoposti non (ci) confonda e (ci) condizioni.