Nei mesi scorsi è tornato più volte sulle prime pagine dei giornali un dato: dalla crisi del 2008, solo un settore ha salvato l’Italia e ha continuato a tirare. Si tratta di quell’agroalimentare che oggi vede invece le sue ombre più scure all’orizzonte. E gli elementi per preoccuparsi ci sono tutti, pur partendo dalla considerazione che i trend degli ultimi anni sono tutti in crescita.
Il fenomeno Prosecco ha travolto il mercato mondiale trovando nell’Europa dei 28 la migliore delle accoglienze in Germania e in Gran Bretagna. Ma ora l’Europa si avvia a perdere proprio l’isola britannica, quarto Paese di destinazione di tutto l’export agroalimentare tricolore.
Si è parlato tanto della Vespa e del dazio che Trump vorrebbe mettere sulla più italiana di tutte le due ruote. La madre di tutti gli scooter ha così messo in ombra il fatto che sono a rischio 3,8 miliardi di esportazioni oltreoceano di Made in Italy nel settore agroalimentare. Un settore che ha fatto registrare un aumento del 6% nel 2016 e che vede gli Usa al terzo posto tra i principali acquirenti di prodotti italiani, dopo Germania e Francia. Il vino risulta essere il prodotto più gettonato dagli statunitensi, poi olio, formaggi e pasta.
La Russia ce la siamo persa da qualche anno per veti politici incrociati; la Turchia, che continua a litigare su tutto e tutti con l’Europa, ha portato al 40% i dazi sulle importazioni italiane. E anche il mercato cinese sta seguendo l’andamento complessivo dell’economia rallentando vistosamente.
C’è poco da essere ottimisti insomma: si voterà in Francia, in Germania, poi anche in Italia e le incognite ogni giorno si fanno più evidenti. È il quadro politico, si dirà: certo, ma senza una cooperazione reale e onesta sui mercati mondiali, l’agroalimentare Made in Italy si ferma. Un esempio può venire dall’appena firmato Ceta, l’accordo con il Canada, che non piace a tutti e che qualcuno vorrebbe anche contestare. Ma senza il quale i dazi canadesi sarebbero esplosi.