Il tema che maggiormente ricorre in queste pagine è quello della qualità, in tutti i comparti ed in particolare nell’agroalimentare. Della necessità di tutelare la qualità dell’intera filiera che dal campo arriva sulle tavole degli italiani e dei consumatori di tutto il mondo. Qualità come bandiera che il Made in Italy può sventolare vantando i più seri e capillari controlli per certificare l’origine e tutte le fasi produttive dei prodotti emblema del tricolore a tavola.
Per questo non può essere sottovalutata la scoperta di un campo dio mais transgenico in Provincia di Rovigo. Episodio recente che è finito sotto l’incombenza di così tante e drammatiche notizie di quest’ultima convulsa settimana. Ne abbiamo scritto dettagliatamente in queste pagine ma restano alcuni interrogativi che meritano di non essere trascurati.
Innanzitutto, come più d’uno ha osservato, il Mon810 rinvenuto nel rodigino è la più nota delle varietà transgeniche prodotte (e brevettate) dalla multinazionale Monsanto. Appare poco probabile che una multinazionale delle dimensioni della Monsanto si sia presa la briga di portare le proprie sementi per coltivare “UN” campo a Rovigo. La meritoria azione della Forestale non deve essere fermata perché i ‘volumi’ di una multinazionale sono assai più ampi e potrebbe non essere improbabile che altre sementi siano arrivate nella nostra regione.
Qui si inserisce il secondo elemento: l’Italia ha vietato per legge l’utilizzo di OGM, ma il caso di Rovigo potrebbe dimostrare che questo non è sufficiente a dissuadere i produttori, attirati da miracolistici guadagni. A questi bisogna dimostrare che anche sotto il profilo economico è la qualità quella che paga. OGM è il sinonimo di un suicidio della biodiversità, dell’eccellenza e della qualità che sono le vere leve che possono garantire la remuneratività del lavoro agricolo in una regione come il Veneto.