Una recente querelle sul vetro di Murano ha sollevato un intrigante quesito: esiste un “genius loci” per l’artigianato artistico? Nel caso: un maestro vetraio trasferitosi per motivi logistici (e quindi di costi), come tante aziende del settore, in terraferma, produce ancora vetro di Murano, laddove con tale nome si identifichi un processo produttivo e non una mera località? La faccenda è spinosa, perchè è evidente che le capacità di un artista restano tali in ogni angolo del mondo, ma è altrettanto chiaro che accettare ciò significherebbe sconfessare l’allure del vetro lagunare (a meno che, non essendo le materie prime tipiche di Murano, non si voglia affermare l’esistenza proprio di un genius loci). Nell’agroalimentare hanno risolto l’inghippo affiancando al d.o.p. (materie prime e produzione in un ben preciso areale), l’i.g.p. dove è sufficiente solo una delle due fasi in loco (materie prime o produzione: la bresaola valtellinese con carne argentina ne è il tipico esempio). Nel caso del vetro muranese si dovrebbe differenziare il vetro fatto in isola da quello prodotto altrove: è quindi una mera questione di tracciabilità e non di marchio, che dovrebbe invece garantire il rispetto di un disciplinare realizzativo a prescindere dal sito di produzione, giacchè il vetro di Murano è frutto di ricerca ed ingegno, non di materie prime inclonabili, perché incardinate al territorio. Il problema quindi non è un logo e chi lo possa geograficamente usare, ma dotarsi di sofisticate tecnologie per tutelare il prodotto realizzato a Murano dalle innumerevoli contraffazioni (per quelle dall’Estremo Oriente si sospetta anche qualche responsabilità interna). Come scritto altre volte: i sistemi per difendere l’origine del prodotto ci sono, come testimoniamo anche con questa testata; basta volerli applicare.
Il Direttore
(Fabrizio Stelluto)