Dal 1994 permette ai Paesi produttori di gas e petrolio di contrastare la transizione energetica
Il Trattato sulla Carta dell’Energia, siglato nel dicembre 1994, dopo tre anni di intensi negoziati, riunisce 50 Stati, tra cui i paesi dell’ex Unione Sovietica, i paesi dell’Europa centrale e orientale, il Giappone, l’Australia e gli Stati membri delle Comunità europee. L’idea era quella di facilitare la cooperazione nel settore energetico creando un quadro legale stabile e affidabile nel commercio, nella protezione degli investimenti e nelle regole di transito. Ma da allora, sembra un’altra era, molte cose sono cambiate ed ora l’Unione Europea sta portando avanti i piani per uscire dal Trattato perché accusato di proteggere il settore dei combustibili fossili.
In effetti, l’ETC consente alle società energetiche di citare in giudizio i governi per politiche che danneggino i loro investimenti, un sistema inizialmente progettato per sostenere gli investimenti nel settore. Con il risultato che gli azionisti delle società di combustibili fossili stanno facendo partire richieste miliardarie ai governi per gli investimenti che sostengono siano stati minati dalla transizione energetica.
Agli occhi di alcuni membri dell’UE, l’ETC risulta uno strumento in mano all’industria degli idrocarburi per contrastare i piani di riduzione delle emissioni dei governi e, inoltre, protegge gli interessi dell’industria del petrolio e del gas, specie per i Paesi dell’est europeo, la Russia in Primis.
Secondo quanto riporta il Financial Times, la Commissione europea è pronta a proporre un’uscita congiunta dall’ETC, dopo che diversi Stati membri hanno abbandonato i costosi accordi giudiziari con le compagnie petrolifere e del gas. L’Italia si è già ritirata dal trattato nel 2016 sebbene sia ancora vincolata dalla cosiddetta clausola di decadenza che lega i firmatari alle sue regole per 20 anni.
Tra gli Stati membri, la Germania ha annunciato piani per il ritiro dal prossimo dicembre, e anche la Polonia uscirà dal trattato alla fine di quest’anno. Altri otto Paesi dell’UE, tra cui Francia, Paesi Bassi e Spagna, hanno già dichiarato che si ritireranno e il Parlamento europeo ha votato contro la permanenza nel trattato.
7 giugno 2023