Saccola, Pontedarola, Negrara, Corvina Veronese, e Spigamonti, che è un incrocio tra Corvina e Malvasia Rossa. Sono le cinque uve autoctone veronesi riscoperte in vecchi vigneti del veronese dai fratelli Ettore e Filippo Finetto della Garbole, azienda attiva dal 1994 con dieci ettari nella Valpolicella Doc per una produzione media annua di 25 mila bottiglie. Le cinque uve sono state utilizzate per la produzione di “Hurlo”, un nuovissimo ed al tempo stesso ‘antico’ vino Veneto Rosso Igp.
«Sia a livello culturale che sociale – sostiene Ettore Finetto – si è perso l’urlo di gioia, e il nostro vino “Hurlo” vuole essere un omaggio al benessere: un urlo appunto di grinta e di energia. La nostra è una piccola azienda agricola, che vuol rimanere tale, rivolgendosi solo a nicchie di mercato, in Italia come all’estero. Tutti i nomi dei nostri vini iniziano con l’H, perché è una lettera che da significati nuovi in silenzio. Come il nostro lavoro: sempre con le stessa gente, sempre con le nostre uve, eppure sempre nuovo».
Sette anni di invecchiamento, ma in barrique nuove per una maggiore morbidezza del vino
L’appassionato racconto di Ettore Finetto prosegue sottolineando che: «I nostri sono tutti vini fatti con la tecnica dell’appassimento. Segue poi un lungo invecchiamento, sette anni, ma in barrique nuove per dare morbidezza e freschezza. Noi siamo jazzisti che improvvisano sempre per dare prove che resistano poi nel tempo. Spesso discuto coi colleghi di uve autoctone, ma non è una componente, è l’equilibrio a far grande il vino. Nel bene e nel male: nel 2014 siamo stati l’unica azienda che ha scelto si spegnere la luce e non produrre, dopo i danni per la grandinata. Per poi ripartire, valorizzando l’attitudine alla longevità delle uve della Valpolicella. Spero solo – conclude il viticoltore veronese – che l’Amarone non diventi troppo Pop: vedo prezzi indicibili sugli scaffali e questo non so quanto faccia bene alla denominazione».