Per iniziare l’anno, il mondo enoico è chiamato a riflettere su alcuni elementi che ne potranno determinare il futuro. A cominciare dai cambiamenti climatici che già tanto hanno influito sull’annata appena trascorsa, con una vendemmia tra le più povere degli ultimi decenni. Ed è evidente a questo punto che il cambiamento climatico cambierà anche il vino, a cominciare dal modo di produrlo. Un team di ricercatori, in un recente studio pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Climate Change” sostiene che il più immediato e concreto provvedimento da assumere consiste sarà quello di variare i vitigni, usando quelli che più si adattano alle nuove condizioni di temperatura e piogge.
Il gruppo di studiosi, capitanato dalla docente di Biologia evolutiva ad Harvard, Elizabeth Wolkovich, mette in evidenza la forte concentrazione dell’industria vitivinicola globale su poche varietà di vite, a fronte delle numerose esistenti. Con 1.100 vitigni a disposizione, in molti Paesi tra il 70 e il 90% degli ettari di vigna ospita le stesse 12 varietà, che rappresentano appena l’1% del totale.
Un secolare adeguamento naturale, oggi deve avvenire in tempi strettissimi
Quasi scontata la valutazione fatta dagli studiosi: il fenomeno è attribuibile in primo luogo alla globalizzazione del mercato che determina le tipologie di vino più remunerative. Altrettanto evidente è che secondo gli studiosi è necessario cambiare rotta, scegliendo ciò che si adatta meglio alle mutazioni ambientali.
Se in luoghi più freschi serve una varietà che matura velocemente come il Pinot Nero, alle zone calde si adattano meglio varietà che maturano lentamente nel corso dell’estate, come il greco Xinomavro. «Con l’aumento delle temperature sarà difficile per molte regioni continuare a coltivare i vitigni attuali – osserva Wolkovich – Tuttavia alcune varietà esistenti si sono adattate meglio a climi più caldi e tollerano meglio la siccità rispetto alle 12 che alimentano l’80% del mercato. Dovremmo studiarle per prepararci al cambiamento climatico».