Alcune analisi condotte in Gran Bretagna indicano che una ragazza inglese su tre considera ‘vecchi’ i vestiti dopo averli indossati una o due volte e una su sette ritiene inaccettabile essere immortalata con lo stesso outfit in più di una foto. La conseguenza è nella stima che il consumatore medio oggi acquisti il 60% in più di capi rispetto a 15 anni fa, conservandoli solo per la metà del tempo.
E mentre per le aziende diventa un imperativo la massima rapidità di risposta alle richieste di un mercato sempre più frenetico, e la cui frenesia viene artatamente alimentata in particolare dai social media, tutto questo diventa un ostacolo sempre più insuperabile per la sostenibilità sociale e ambientale della moda. Basti un esempio: per lavare i nostri vestiti ogni anno rilasciamo nell’oceano mezzo milione di tonnellate di microfibre, cioè l’equivalente di 50 bilioni di bottiglie di plastica. E la tintura dei tessuti è la seconda causa di inquinamento dell’acqua sul pianeta: per realizzare un solo paio di jeans ci vogliono circa 7.500 litri d’acqua!
Le grandi case stanno puntando alla trasparenza dei prodotti per assecondare le richieste dei giovani
I dati dimostrano che i consumatori vogliono sostenere i brand che ‘agiscono bene’: il 66% è disposto a pagare di più per beni riconosciuti sostenibili. Come afferma Mike Smith, chief operating officer di Stitch Fix: «Se non ottieni la sua fiducia, non mantieni a lungo la relazione con il cliente».
«In futuro, etica ed estetica saranno inscindibili – sostiene Cédric Charbit, Chief Executive di Balenciaga – Un prodotto non potrà più essere considerato solo per fattori come manodopera, creatività e heritage: dobbiamo arricchirlo di valori ed emozioni. Deve trasmettere messaggi significativi. Un fattore fondamentale per il business è coinvolgere l’audience. Non si tratta più di rivolgersi ai propri clienti ma piuttosto a tutte le persone che si possono raggiungere digitalmente, ad esempio attraverso i social media, per creare una comunità che condivida idee e principi».